Lo spettacolo, che ha debuttato mercoledì 17 settembre, ha come soggetto l’impossibile intervista di Emma Dante, qui regista e attrice, al ciclope Polifemo. Trattandosi di una intervista, mancano di conseguenza allo spettacolo tutte quelle caratteristiche tipiche di una canonica rappresentazione teatrale: è innanzitutto privo di una trama e di una scenografia propria; allo stesso tempo conserva tutte quelle caratteristiche dell’intervista: lo schema fatto di domande e risposte, la prevalenza della parola sulle immagini e sulle azioni. L’intervista è l’occasione per presentare un argomento o una persona, per riflettere su un tema e per motivare delle scelte che si sono compiute. E nel corso dello spettacolo tutti e tre i personaggi hanno modo di esprimere tutto questo: Emma Dante racconta perché ama scrivere il suo teatro in dialetto; Polifemo cerca di far comprendere al pubblico come vivono i ciclopi e perché sia ingiusto considerarli dei mostri, Odisseo invece racconta del suo amore per Penelope, del legame che lo stringe a lei nonostante i molti amori ai quali si è abbandonato durante il suo viaggio.
Lo spettacolo diventa un mezzo per riflettere da un’altra prospettiva su una storia, quella di Odisseo, che appartiene a tutti e che ormai si è cristallizzata, come sostiene Polifemo, in una forma comune, convenzionale, ma non per questo corretta, autentica, originale. E su questo scarto, tra la versione “originale” e quella “dantesca” (sfruttando il gioco di parole proposto dalla stessa Emma Dante) si gioca gran parte del lavoro della regista che costruisce una versione di Ulisse lontanissima da quella formatasi per sedimenti in secoli di tradizione e si sforza, ugualmente, di adattare i due personaggi del mito al linguaggio contemporaneo. E così Ulisse e Polifemo parlano in napoletano e in un angolo del palcoscenico una musicista accompagna in stile ultra moderno l’opera in scena.
È Polifemo però a attirare maggiormente l’attenzione della regista; è affascinante e complesso, classificato tra i più celebri “mostri” della letteratura, non ha mai avuto un’occasione per replicare, per raccontare la propria versione dei fatti. Mentre Odisseo, tratteggiato qui come un “banale vincente”, ha uno spazio più ridotto e la sua figura non stimola alcuna empatia. È facile così riconoscere in Polifemo un uomo allo stato selvaggio, non civilizzato, mostruoso per certi aspetti, ma autentico; Ulisse è tutto al contrario, brillante, sagace, sicuro di sé e senza morale, è da ogni situazione. E la regista osserva le due sue creazioni, a volte ci dialoga, a volte le plasma, le trasforma, le soppesa e le giudica, a volte le rende pubblico e spiega loro il proprio teatro, le proprie scelte.
In uno spettacolo ricco di dialoghi, in cui è la parola a prevalere sui movimenti e la testa sul corpo, hanno un’importantissima funzione compensatrice le parti dedicate al balletto curate dal coreografo Sandro Maria Campagna ed eseguite da tre bravissime ballerine (Federica Aloisio, Giusi Viceri, Viola Carinci). I balletti sono in grado di trasmettere un’altra atmosfera, più leggera ed evocativa rispetto a quella fornita dalla comunicazione linguistica. Decisamente il più affascinante è quello dedicato alla figura di Penelope. Ed è liberatorio vedere le danzatrici utilizzare pienamente il particolarissimo e suggestivo spazio scenico del teatro Olimpico altrimenti poco sfruttato nel resto dell’opera che invece si relaziona per contrasto con la classicità e la misura del teatro palladiano.
La programmazione del 67esimo ciclo di spettacoli classici proseguirà con “Ménélas Rebétiko Rapsodie” di Simon Abkarian cresciuto al Theatre du soleil di Parigi, il 26 e il 27 settembre
Durata 60 minuti
testo e regia di Emma Dante
_ con Emma Dante, Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola, Federica Aloisio, Giusi Viceri, Viola Carinci
Io, Nessuno e Polifemo