Io Sarah, io Tosca

credits Filippo Manzini

«Ci sono cinque tipi di attrici: le cattive attrici, le attrici passabili, le brave attrici, le grandi attrici. Poi c’è Sarah Bernhardt». Così Mark Twain a proposito dell’ultima diva dell’Ottocento, prediletta di Victor Hugo e Victorien Sardou, odiata da Cechov. Sarah fu uno spirito libero, bizzarra e scandalosa per quei tempi, sempre sulla bocca di tutti. Fiumi di inchiostro la travolsero da viva e da morta, indagandone gli aspetti più morbosi della sua esistenza. Amica e nemica del bel mondo parigino e non solo, collezionò artisti, scrittori, generali, regnanti di passaggio, uomini politici, circondandosi di animali esotici che si rivelarono, a volte, migliori degli umani. Col dottor Pozzi, il “docteur Dieu” padre della ginecologia francese, che campeggia all’Hammer Museum nel magnetico ritratto che ne fece Sargent, ebbe una lunga relazione, anche epistolare, ben raccontata da Julian Barnes nel recente saggio L’uomo con la vestaglia rossa. Fu la “voce d’oro”, “la divina”, “la scandalosa”, il “mostro sacro” e, come accade in questi casi, difficile è comprendere chi fu davvero Sarah Bernhardt. “Mente così tanto che potrebbe essere grassa” diceva Alexandre Dumas figlio, al punto da chiedersi quanto ci sia di vero nell’autobiografia Ma double vie.

credits Filippo Manzini

Io Sarah, io Tosca, al Teatro Toniolo di Mestre dal 10 al 19 dicembre, è un atto unico scritto da Laura Morante  per voce e musica in tre quadri che ripercorre alcune tappe della vita della Bernhardt: il 3 novembre 1887, all’inizio delle prove di Tosca di Sardou; il secondo due settimane dopo; il terzo all’alba del 24 novembre, il giorno della prima rappresentazione di Tosca. Frutto delle sterminate letture di Morante, nato ai tempi della pandemia e quindi ridotto al minimo per agevolarne la produzione, lo spettacolo ha il pregio di far conoscere allo spettatore la figura controversa di Sarah, stuzzicandone la curiosità e l’approfondimento personale. Eppure, soffre di un’eccessiva staticità strutturale e drammaturgica che lo rende più adatto alla ripresa televisiva o radiofonica. Il testo, in cui fortunatamente non manca l’ironia, è un soliloquio infinito, un profluvio verbale serrato, interrotto solo dai brevi interventi al pianoforte di Chiara Catalano, composti da Mimosa Campironi, sui quali comunque Morante, a cui va comunque il plauso per riuscire a sostenere questo monologo monstre, prevale con la sua verbosità. Sarah percorre il lungo e in largo la scena fissa di Luigi Ferrigno, una sorta di sala mortuaria che ricorda la famosa camera nera della Bernhardt, e ci dettaglia la sua vita tormentata, sommergendoci di parole, di nomi non sempre chiari, di date, impegnandoci a rimanere attenti a ogni battuta per non perdere il filo logico dei fitti avvenimenti. La regia di Daniele Costantini rimane impressa soprattutto per quel velo che cade all’improvviso, alla battuta finale “era simile a un dio”, detta da Sarah in merito al padre ignoto.

Applausi entusiasti del pubblico alla replica del 14 dicembre.

Luca Benvenuti