Come d’abitudine, appena arrivati a Karlovy Vary, proviamo ad offrire un quadro d’insieme delle sezioni più interessanti pensate e organizzate quest’anno dai programmatori.

Rileviamo subito la giusta ed attenta cura dedicata al centenario della morte di Franz Kafka: nella sezione chiamata in modo originale “Il desiderio di diventare un indiano” (è il titolo di un suo racconto) sono raccolte più di venti opere di varie epoche e formati, che danno davvero un’idea della capacità ispirativa dell’autore della Metamorfosi nell’arco dei decenni e a tutte le latitudini cinematografiche. I film raccolti vanno da esempi più noti e prevedibili (“Il processo” di Orson Welles o “Kafka” di Soderbergh, presente, fra l’altro, anche con una versione rimontata) ad opere ingiustamente meno note, primo fra tutti il mediometraggio dell’enfant terrible della nouvelle vague cecoslovacca, Jan Nemec, che nel 1975 girava per la televisione tedesca occidentale una versione della Metamorfosi in cui seguiamo la vicenda narrata attraverso la soggettiva dello “scarafaggio”… Altro gioiello da recuperare è “K” dell’italiana Lorenza Mazzetti, che nel 1954 con questa ed altre opere contribuiva alla nascita del Free Cinema inglese. Ma ci sono anche “L’udienza” di Ferreri, “L’inquilino del terzo piano” di Polanski e “Intervista” di Fellini, che, ricordiamolo, in questo suo lavoro del 1987 vorrebbe girare un film tratto da “America”. Lode dunque a Lorenzo Esposito che ha curato questa meritevole sezione.

Il concorso principale, che qui nella cittadina ceca vede attribuire i “Globi” alle opere giudicate migliori, si compone di dodici film. “Our Lovely Pig Slaughter” del ceco Adam Martinec promette di presentare un’immagine divertente e tipica del “carattere ceco”, con toni da “nova vlna” degli anni Sessanta applicati ad una vecchia tradizione locale: la maialatura come occasione conviviale. L’altra ceca in competizione è Beata Parkanova, che con “Tiny Lights” segue il disfacimento di una famiglia attraverso gli occhi di una bambina. Alcune opere promettono un impegno di riflessione storico-politica: per esempio, il georgiano George Sikharulidze debutta con “Panopticon”, in cui riflette su nazionalismo, conservatorismo religioso e modernizzazione nel suo Paese, mentre “Celebration” del croato Bruno Anković indaga sulle fascinazioni fasciste del suo Paese durante la Seconda Guerra Mondiale, e ancora “Xoftex” di Noaz Deshe potrebbe stupire per il modo originale con cui affronta il dramma delle migrazioni nel Mediterraneo. Il luogo del titolo è infatti un campo profughi greco, dove vedremo una sorta di horror metafisico legato alle tremende sofferenze fisiche e mentali dei migranti. Non sembra dunque un caso se anche un’ulteriore presenza produttiva ceca (qui in collaborazione con la Slovacchia) illustra un panorama di estremismo nazionalista: “The Hungarian Dressmaker” della slovacca Iveta Grófová è appunto ambientato negli anni Quaranta, quando lo “Stato slovacco” era un’entità politica-fantoccio legata al Terzo Reich. Per finire, oltre a registi da Giappone, Singapore e altri paesi europei, da cui speriamo di farci stupire, ricordiamo il noto documentarista Mark Cousins, che ha deciso di presentare qui la prima mondiale del suo nuovo “A Sudden Glimpse to Deeper Things”, dedicato alla pittrice Wilhelmina Barns-Graham.

Non ci sono registi italiani quest’anno nel concorso principale, ma nell’altra sezione competitiva, “Proxima”, è presente “Clorofilla” della giovane Ivana Gloria, mentre fra gli altri titoli (anche qui una dozzina i concorrenti) ci ispirano di sicuro il bulgaro “Windless”, che è coprodotto con l’Italia, ed è un’opera stilisticamente originale (già a partire dal formato 1:1 della ripresa) con cui Pavel Vesnakov racconta una vicenda di conti personali con un padre appena deceduto, o ancora uno dei pochi nomi russi presenti al festival, quello di Anja Kreis, che con il suo “The Alienated” racconta una storia horror che ruota attorno alla ipotizzata nascita di un anticristo in una clinica per aborti.

Fra gli omaggi speciali alle stelle internazionali ricordiamo quelli a Daniel Bruhl, a Clive Owen e a Viggo Mortensen, che si è visto in giro anche alle proiezioni per il pubblico, a seguire ciò che il festival può offrire, mentre fra i nomi locali di qualità non possiamo passare sotto silenzio l’omaggio tributato ad una protagonista del cinema ceco già dall’epoca d’oro degli anni Sessanta, Iva Janzurova, o quello offerto ad un altro talentuoso attore ceco, Ivan Trojan, che potremo ammirare in quella che a nostro modesto parere (e ne abbiamo viste tante) è una delle migliori trasposizioni filmiche a tema dostoevskiano del cinema mondiale, “Karamazovi” (2008) di Petr Zelenka.

A parte, per finire, ricorderemo una prima mondiale che si svolge qui a Karlovy Vary, ma di cui avremmo volentieri fatto a meno, ossia il documentario ripreso direttamente dalle trincee del regista ucraino (e soldato delle forze armate del suo Paese) Oleh Sencov: se la Russia non avesse invaso, infatti, l’Ucraina, avremmo potuto seguire ben altra evoluzione artistica di questo interessante autore. Speriamo davvero che questo sia l’ultimo film in cui egli è costretto a parlare di guerra.