The Importance of Being Earnest nasce tra il 1894 e il 1895, nel periodo che precede la rovina della vita di Oscar Wilde e in quella seconda metà dell’Ottocento in cui il teatro borghese, esaurito il compito di propagandare il suo progressismo, diventa momento d’evasione per sfuggire alla realtà contraddittoria che aveva contribuito a creare. Se pensiamo a Edda Gabler, John Gabriel Borkman, La moglie ideale, Come le foglie, opere in cui il quotidiano diventa invivibile e affrontabile solo con l’adulterio, la pazzia, il gioco d’azzardo e la fuga, pare evidente il venir meno al principio di realtà. Questa “trivial comedy for serious people”, “unica opera di pura verbalità” secondo W. H. Auden, costituisce in questo panorama europeo non solo una sospensione, ma una dissacrante decostruzione della società vittoriana.
Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, che firmano a quattro mani regia, scene e costumi di L’importanza di chiamarsi Ernesto, andato in scena al Teatro Toniolo di Mestre dal 4 al 7 aprile, esasperano la critica di Wilde alla borghesia rifacendosi a un non troppo immaginario mondo pop in cui i personaggi mantengono fresca l’originaria inconsistenza e la superba verbosità. Il rovesciamento paradossale del senso è l’espediente più usato dall’autore che appare come un precursore del teatro dell’assurdo, mentre in realtà smonta con acume i luoghi comuni su cui si fonda la solida società borghese. Bruni e Frongia danno corpo a quella mollezza di cui sopra accompagnando alla battuta pronta una gestualità quasi danzata, sottolineata a tratti dal suono sagace di Giuseppe Marzoli. Le luci di Nando Frigerio contribuiscono poi a conferire alle scene la lucidità caratteristica della pop art, corrente in cui la vita quotidiana nella sua banalizzazione consumistica diventa oggetto d’arte, così come la vita per Wilde doveva imitare l’arte. Tra Ball Chairs, collages di Richard Hamilton e fumetti di Roy Lichtenstein con il faccione di Wilde sempre presente, i validi attori del Teatro dell’Elfo Puccini di Milano affrontano con estrema disinvoltura i funambolismi verbali.
C’è una sottile ambiguità tra Algernon e Jack, i bravi Riccardo Buffonini e Giuseppe Lanino, personaggi che paiono più amanti che amici, così poco credibili nelle loro impossibili infatuazioni amorose. In fondo, chissà cos’è questo “bunbureggiare” così frequente… Lady Bracknell, l’irresistibile Elena Ghiaurov, è una virago esilarante nel suo classismo ipocrita, una Crudelia Demon ante litteram. Divertente la Gwendolen di Cinzia Spanò, un po’ più sulle righe la Cecily di Camilla Violante Scheller, dalla forte cadenza milanese, non si sa se per volute ragioni di regia. Garbata la Miss Prism di Elena Russo Arman e plausibile il canonico Chasuble. Bravo Nicola Stravalci nel doppio ruolo di Lane e Merriman.
Il pubblico si diverte e accoglie la compagnia con applausi entusiasti al termine della recita del 6 aprile.
Luca Benvenuti
Ph: Laila Pozzo