Dopo la muta Sally Hawkins di The Shape of Water di del Toro, a portare un po’ di silenzio nella vivace kermesse della 74ma Mostra del Cinema di Venezia ci pensa Takara, il piccolo protagonista della produzione franco-giapponese La Nuit Ou J’ai Nagé, film muto dei registi Damien Manivel Kohei Igarashi.

I due registi, conosciutisi per caso durante un festival, decidono di raccontare una storia breve e poetica ispirata alla vita di tutti i giorni di un curioso personaggio conosciuto durante il processo di ricerca per il film, nella nevosa regione giapponese di Tohoku: si tratta di un bambino di nome Takara, figlio di un pescatore che vede il padre molto raramente a causa dei suoi turni di lavoro, che cominciano prestissimo al mattino e terminano quando Takara è già andato a dormire.

I due registi decidono di raccontare un’immaginaria fuga del piccolo protagonista, che dopo essersi svegliato ancora una volta nel cuore della notte sentendo il padre che esce di casa decide di partire verso quel mare dove lavora il suo papà, attraversando a piedi o con mezzi di fortuna i candidi paesaggi dell’innevato distretto di Aomori. Sempre con lui un disegno di pesci, molluschi e altri animali marini, fatto prima di partire.

Quello dei due registi vuole essere un esperimento di sottrazione, cercando di ridurre il film al minimo pur senza rinunciare a una storia che resta però sullo sfondo rispetto ai suggestivi campi lunghi e lunghissimi in cui inseriscono il minuscolo protagonista. Per quanto l’idea di partenza sia comunque interessante, è  innegabile che a salvare la pellicola sia stata almeno in parte la lunghezza: La Nuit Ou J’ai Nagé dura infatti appena un’ora e venti, e nonostante una durata così ridotta la struttura essenziale e quasi scarna della pellicola comincia a farsi sentire dopo un po’, il che ci fa capire che un esperimento simile che dovesse superare un’ora e mezza di lunghezza risulterebbe quantomeno pesante.

Meglio ancora sarebbe forse stato trasformare questo soggetto in un cortometraggio, formula che probabilmente avrebbe aiutato ancora di più i due autori a realizzare un piccolo quadretto, una sorta di tenero carosello, che sembra essere l’obiettivo di La Nuit Ou J’ai Nagé. Quello che Manivele e Igarashi vogliono presentare al pubblico è una breve poesia, una sorta di haiku audiovisivo che sollevi lo spettatore dal mondo che lo circonda per un’ora e venti senza ricorrere a chissà quali assi nella manica ma attraverso un film che cerca di fare della semplicità il suo punto forte.