“La region salvaje” di Amat Escalante
Messico, oggi. Una donna, sessualmente insoddisfatta, scopre che il marito la tradisce con il fratello di lei. Una sconosciuta le suggerisce di visitare un capanno nel bosco, dove ogni suo impulso verrà appagato da una creatura misteriosa.
Qualcuno dovrebbe avvisare Amat Escalante che gli anni ’80 sono passati da un pezzo: temi come l’emancipazione femminile, l’omosessualità come tabù, e la società patriarcale sono ancora rilevanti, certo, ma non hanno più quell’urgenza che avevano trent’anni fa. Il mondo è cambiato, e con lui la sensibilità dello spettatore: questi temi possono e devono essere ancora affrontati, ma con uno sguardo nuovo, altrimenti il rischio di ripetitività è altissimo.
E La region salvaje in questo rischio ci cade in pieno. Non bastano, infatti, le scene di sesso e nudo per rinnovare o risvegliare le coscienze: ieri queste scene facevano scandalo, oggi diventano inutile voyeurismo, soprattutto in un festival che ci ha abituato a ben di peggio. Quindi, no, caro Escalante, iniziare il film con masturbazione femminile con alieno – masturbazione femminile con bottiglietta di shampoo – copula omosessuale non è un modo efficace per far riflettere lo spettatore, che si limiterà a sbadigliare.
E no, non basta mutuare il concetto di tentacle rape dalla tradizione horror / hentai per dare una patina di novità a delle tematiche trite e ritrite. Ci vuole altro, un altro che Escalante sembra trovare, ma solo a tratti. Il regista costruisce alcune convincenti scene attorno alla sessualità come forza primigenia, facendo dell’alieno fallico un Grande Antico del piacere assoluto, che pretende assoluta devozione dai suoi adepti: una volta provato, non si può tornare indietro. Questo tema resta però in superficie, senza essere declinato, senza esplorare i lovecraftiani abissi di dipendenza e follia in cui può trascinare un’esperienza come quella che vive la protagonista. Il regista perde il filo del racconto da un certo punto in poi, e non lo recupera più.
La region salvaje è dunque un’occasione mancata, che non scandalizza (ma non vuole, forse, nemmeno farlo) ma nemmeno fa riflettere. La bellezza e l’evocatività di alcune immagini non bastano a salvare un film superficiale, che butta al vento un’idea potenzialmente geniale per concentrarsi su beghe di famiglia, rinunciando a vedere il mondo con gli occhi di chi ha guardato dentro l’abisso e non ha saputo distogliere lo sguardo.