Mettere a fuoco i nodi più vitalmente esclusivi della storia della musica occidentale, oggi, non può smarcarsi da un confronto con la genesi del suo tratto più distintivo, còlto nella sua evoluzione multisecolare: e cioè la notazione musicale. Un terreno d’indagine affascinante, estremamente scivoloso, la cui portata interdisciplinare tra semiologia e filosofia del linguaggio, storia del segno e tecnica, sociologia e letteratura rappresenta un formidabile banco di prova per un allargamento di prospettiva, senza perdere la bussola di un percorso coerente di avvicinamento.
Diego Cembrola, nel suo La scrittura del suono in Occidente. Storia, filosofia, tecnica (Eiffel Edizioni, 2019), sembra cogliere la sfida a partire dal “grandangolo lessicale” dell’espressione usata nel titolo: scrittura del suono, appunto. Il che significa accordare la lente di un approccio “di struttura” con le variabili di un contesto umanistico assai variegato, che ne definisce e ritaglia, in Occidente attraverso i secoli, un corpo referenziale autonomo, via via emancipato dal logos della scrittura alfabetica quale strumento ordinatore del mondo. Un percorso che attraverso la ricorsività strutturale delle “scale”, e la necessità tutta medievale di tramandare con esattezza il canto liturgico, scarta i modelli mutuabili dalla classicità greca e fissa le variabili di suono assolute su cui far lievitare un sistema di notazione astratto, via via sempre più preciso e inclusivo di sfumature, fino ai protocolli MiIDI dell’approdo informatico odierno.
Altezza e durata, depositando sulla pagina una griglia univoca di segni, aprono nella storia della cultura occidentale la breccia decisiva per emancipare la creazione musicale dall’estemporaneità della sua performance sonora, consegnandola a una possibilità di persistenza indipendente dall’esecuzione. Di qui la corrispondente conversione del musicista, da artigiano “prestatore d’opera” in vario modo subordinato al testo, a quintessenza dell’autore-artista, in grado come nessun altro di dominare nel flusso del tempo tecnica e astrazione, gesto fisico sullo strumento e graffio d’inchiostro sulla pagina.
La cura riservata a ogni dettaglio metodologico, la precisione lessicale, la ricchezza di riferimenti bibliografici con cui Cembrola affronta e dipana i capitoli del suo saggio offrono un’esperienza di lettura preziosa non solo per gli “addetti ai lavori”, ma soprattutto per chi ama la musica e abbia voglia di regalarsi un vero e proprio “salto di prospettiva”, riattraversando il prodigio multisecolare che ha reso possibile, in Occidente, una dimensione privilegiata nella percezione e rappresentazione del mondo interiore; l’unicum di un accordo d’arte fra suono e senso in grado di sbaragliare l’ordine logico di narrazione e linguaggio, fino a seminare e fecondare praterie rivoluzionarie di umana creatività e immaginazione.