“Non conta quante volte cadi ma quante volte ti rialzi”, dice il sincero e saggio amico Paul (Laurent Papot) alla brava e giovane musicista Ana (Alma Jodorowsky), scoraggiata dal giudizio indifferente e negativo di un famoso produttore. E prosegue: “Tutti gli artisti si sono trovati ad un certo punto in questa situazione, ma devi continuare a fare quello in cui credi perché è bello!”.

In un appartamento parigino lasciatole in prestito da un amico partito per gli Stati Uniti, a fine anni Settanta, Ana inizia a comporre la sua musica nuova, ispirandosi a vinili rari che le porta un amico dall’estero. Lavora a un sintetizzatore gigantesco, che sa fare cose fino ad allora inaudite. Il clima dell’epoca è riassunto e concentrato nell’atmosfera psichedelica e un tantino lisergica della stanza dove Ana lavora: musicassette sparse sul pavimento, moquette in stile optical; un poster di Numero Deux di Godard (tra l’altro Sandrine Battistella somiglia proprio alla Jodorowsky), il poster di Supernature di Marc Cerrone , uno dello show Laserium e uno dei Tangerine Dream, oltre a cumuli di mozziconi di sigaretta.

Marc Collin è un affermato musicista francese che ha lavorato particolarmente per il cinema; ha voluto dedicare questo suo primo lungometraggio a una generazione di donne musiciste che hanno sfondato il soffitto di vetro della retorica non solo musicale ma anche maschilista. Il film è metafora e storia di queste pioniere che seppero dare spazio alla musica del futuro, quella elettronica, che ancora oggi va per la maggiore tra i giovani ma che per gli anziani di quarant’anni fa, come per quelli di oggi, fu un vero e  proprio “choc”.

Un film certamente di nicchia, per cinefili musicofili, ma ben tollerabile da tutti