Mathieu (Pierre Deladonchamps) è un bel ragazzo che vive a Parigi, ha 33 anni e un figlio di 7. È separato dalla moglie e lavora in una industria di mangimi per cani.
Un giorno gli arriva una telefonata da un certo Pierre (Gabriel Arcand), dal Canada: costui gli deve spedire un pacco. Gli dice che è da parte di suo padre Jean, suo migliore amico, il cui funerale sarà tra pochi giorni.
È il contatto che Mathieu attendeva da tutta la vita: non ha mai saputo chi fosse l’uomo con il quale sua madre, morta da alcuni anni, lo ha messo al mondo ed ora vola immediatamente in Canada.

Giunto oltremare, Mathieu è ansioso, come affamato, di quella famiglia che non ha mai avuto, di fratelli e di casa. Farà in pochi giorni un percorso di avvicinamento a persone diverse, con equivoci, segreti, misteri, delusioni, amarezze e scoperte inattese. Capirà che dietro a una persona ruvida ci può essere un cuore generoso e sensibile; che un padre può amare intensamente e per tutta la vita anche un figlio che non ha mai conosciuto e che ritrovare un figlio è per un padre un buon motivo per continuare a vivere. Crescerà lui stesso come uomo e come padre.

In questa commedia drammatica i tempi sono perfetti, ogni gesto è misurato, ogni scena e evento hanno un significato ben preciso, come per esempio il dipinto del viso di un fanciullo che Mathieu si trova quale “eredità” dallo conosciuto padre, oggetto dall’immenso valore commerciale ma dal non meno intenso valore simbolico. Ogni movimento si ferma un attimo prima che possa cadere nella retorica o nella banalità eppure racconta moltissimo dei chiaroscuri della coscienza, di quegli errori che sono umani ed evitabili eppure non si evitano, perché per non sbagliare mai non basta essere onesti e generosi, ci vuole anche coraggio.

Meravigliose le scene in cui Mathieu – fingendo di essere solo un amico – e Pierre aiutano i due fratelli, figli di Jean, a cercare il corpo del padre nel lago dove si presume che sia annegato. Sono quattro uomini accomunati dalla ricerca di qualcosa che non trovano, i loro gesti rivelano lo sforzo che compiono per diradare l’iniziale, comprensibile diffidenza reciproca. I due diversi accenti – dei canadesi e del parigino – son anch’essi come famiglie della medesima lingua francese, distanti ma non estranei.
La natura che li circonda sembra incoraggiarli ad aver fiducia, persino il vecchio cane di Jean da loro il buon esempio. Altrettanto toccante è la scena in cui il ruvido Pierre, dopo anni, si rimette al piano: suona Chopin con una sensibilità che fa capovolgere l’impressione che si ha di lui e infatti da quel momento il suo personaggio cambia registro.
Lo stupendo lavoro del sessantunenne regista parigino Philippe Lioret è ottimamente sostenuto dal cast, in particolare da Gabriel Arcand, naturalissimo e profondo. È prevista una prossima uscita anche in Italia.