L’unico film austriaco presente a Venezia 74 concorre nelle Giornate degli Autori: stiamo parlando di Life guidance di Ruth Mader.

In una società avveniristica ma non troppo in cui sembra essersi realizzato il modello capitalista tout court, il mondo è quindi popolato dall’élite produttiva e chi non lo è abbastanza viene spedito nella misteriosa Fortezza del Sonno. In mezzo troviamo Life guidance, un’azienda con il compito di correggere i comportamenti a rischio e indirizzare gli individui non inquadrati nel sistema sulla strada dell’ortodossia.

Dunque è già chiaro che ci troviamo dinanzi a un film di critica sociale sul modello de facto della vita occidentale, disponendo tutti i presupposti per un film interessante. Mader di inserisce appieno, con questa sua settima opera (arrivata 14 anni dopo Struggle) nel filone modaiolo distopico degli ultimi tempi, recuperando gli stilemi classici del genere, come la famiglia felice da cui il protagonista si astrae man mano, o l’invasione progressiva dell’organo di controllo, etc. Forse è anche troppo fedele, nel momento in cui non prova nemmeno per un momento a distanziarsi da una scrittura semplice che riprende, a livello strutturale, la costruzione esemplificativa per questo genere cinematografico. Il primo grande difetto è non solo quindi quello di essere terribilmente prevedibile, il che non inficia troppo la visione, tanto quello di non avere nessuno spirito originale (o di autorialità, visto che stiamo parlando di un concorso a questo dedicato) in grado di dare vita alla messa in scena: manca qualità nella gestione del conflitto, in poche parole.

Ma quanto affossa definitivamente l’ultima opera della regista austriaca è la pochezza con cui viene affrontata la tematica, ridotta alla sfera familiare (saltando a pié pari i nuclei sociali ed economici) in un thriller wannabe-angst che però mette tutto tranne che ansia. Una società costituita solamente da individui produttivi è piena di falle, come ci viene dimostrato nella prima parte del film, tanto da richiedere una sottospecie di Ministero del Lavoro di orwelliana memoria (a tal punto è classico il film, ripescando da uno dei classici distopici per eccellenza) a sistemare le cose.

Ma l‘elemento più interessante, ovvero la produttività, non viene minimamente trattato. Non sappiamo come questi individui siano così produttivi, nè tantomeno come l’attività concorrenziale funzioni, se c’è un organo di controllo fortissimo. Eugenetica? Come si intrecciano il mercato libero e anarco-capitalistico e il controllo Big Brother-style? E soprattutto se tutti sono organizzati in modo gerarchico e sono, ancora, produttivi, a questo punto in che modo viene prodotta la ricchezza visto che non c’è la classe borghese e nemmeno quella lavoratrice? Di tecnica selvaggia non si parla minimamente, e nemmeno di una classe schiavizzata, né si danno motivazione si sorta in generale purtroppo; dobbiamo accontentarci di un ritratto familiare che si mischia all’ipocrisia costitutiva di questo genere di regimi ipotetici, peraltro ovvia.

In conclusione, Life guidance non solo non esce dal seminato, ma torna persino indietro, riproponendo l’idea di un controllo coercitivo e fisicamente imponibile, senza prendere in considerazione un’egemonia culturale o una terza lotta di classe. Puzza di stantio, e all’interno del filone distopico degli ultimi anni, ed è ancora peggio rispetto alla media perchè si propone un obiettivo serio, e non solo l’intrattenimento della fascia più giovane del pubblico.