Uno degli aspetti interessanti di un festival internazionale del cinema è che apre inattese finestre su luoghi quasi o del tutto sconosciuti, ci conduce in realtà lontane eppure ancora sempre di questa terra.

Ciad: un parola che potrebbe destare la stessa curiosità di “carneade”. Invece si tratta di una repubblica, ancorché non precisamente democratica, grande quattro volte l’Italia e senza sbocchi sul mare, piazzata com’è nel bel mezzo dell’immensa Africa. La sua popolazione è appena un terzo di noi, ma è tra le più povere e tormentate del mondo. Quasi superfluo aggiungere che i diritti umani sono praticamente ignorati. La parola “Lingui”, titolo del film, nella parlata locale (che si affianca al francese) significa legame tra le persone. IL regista spiega che “implica vicendevole aiuto”. Difficile però esser s’accordo con il regista, che arriva a precisare che “ne deriva una filosofia altruistica”. Forse, ma non certo diffusa ed estesa. La parola che viene in mente dalla visione di questo film è invece “atrocità”. Le due donne, appunto una madre e una figlia, protagoniste del film, e così pure altre donne e anche bambine che appaiono, hanno una vita atroce, oppresse e schiacciate da una società maschilista, prepotente e corrotta, dove nessuna legge è dalla parte delle più deboli tra i deboli, nessun diritto è loro concesso, salvo il dovere: di sottomettersi e di ubbidire.
È così che le donne sviluppano quella loro solidarietà che le porta a escogitare ogni trucco pur di aggirare e ingannare leggi (e maschi). Misera consolazione, che di certo non può alleggerire né la loro situazione né tantomeno la loro coscienza.
Aleggia nel film il dubbio, da che parte stia davvero il regista (un uomo, purtroppo!). Manca una vera vicinanza emotiva verso queste infelici donne, quasi che, in fondo,  un po’ di severità ci voglia pure verso costoro, se non dove si va a finire, e se succedono certe cose (come stupri di ragazzine, per esempio) se lo siano andate un po’ a cercare.

Un po’ troppo asettico, in sostanza, forse perché da anni ormai lui, il sessantenne regista, nel suo Ciad nativo non ci vive dato che vive in Francia da quarant’anni  dove  produce film che hanno anche ricevuto importanti premi, tra i quali quello per la miglior opera prima alla Mostra di Venezia nel 1999 con Bye Bye Africa e sempre a Venezia, nel 2006, con Daratt – La stagione del perdono (2006) il Premio speciale della giuria; oltre a vari altri riconoscimenti.
“Lingui” è presentato fuori concorso nella sezione “Surprise” al 39° Festival del Cinema di Torino, dove la Giuria Interfedi (Chiesa Valdese e Comunità Ebraica di Torino)lo ha premiato con la seguente motivazione:
“Per essere mirabilmente riuscito a rappresentare la realtà delle donne nel contesto sociale di un paese centro africano, ponendo in particolare l’attenzione sui temi dell’aborto, della violenza, della libertà di decisione sul proprio corpo, dell’intolleranza e dell’estremismo religioso, contrapposti al positivo ruolo della protagonista nella creazione di legami comunitari.”