Giunge infine al termine la settimana della critica della 70esima edizione del Festival di Locarno, con il quinto film di Rubén Mendoza, Señorita María, la falda de la montaña.
María Luysa vive a Boavita, uno dei villaggi cattolici più conservatori della Colombia. Ha 45 anni e, anche se è nata maschio, si sente donna e come tale si veste. Fiera e orgogliosa, non c’è nulla che riesca a toglierle il sorriso.
Ancora una volta, la sezione porta in scena un documentario dunque, questa volta dedicato a un’emarginata sociale costretta all’esilio dalla rigidità dell’ambiente in cui vive. Rigidità che Mendoza porta in scena in questa sua opera, seguendo passo dopo passo le giornate di Maria per offrire un ritratto dettagliato della sua vita. Il modello è estremamente semplice, non differendo dunque dagli altri film nella SdC, fatta eccezione forse per Družina. La nostra protagonista si offre senza remore alla mdp che ne va descrivere senza (e menomale) rigorismi o partizioni nette i tratti salienti. Con un montaggio alternato Mendoza ci pone davanti alla vita quotidiana di María, che per sopravvivere fa la mugnaia e l’allevatrice, poi la trasporta nelle strade del paesino a valle della sua abitazione, schernita dai bambini ed evitata dagli adulti, e infine le concede personalmente molto tempo con le canoniche interviste frontali per permetterle di esprimersi al meglio.
Il grande merito del documentario è quello di riuscire a trattare il tema senza scivolare nella usuale retorica stucchevole, sia da un parte che dall’altra. Non si indugia facendo facili vittimismi né si cerca una comprensione empatica forzata, né tantomeno si perde tempo mascherando da critica sociale il voyeurismo stanando quanti demonizzano María o andando a scovare le fiabesche folle inferocite. Quello che conta è il ritratto della protagonista, che ci viene dato dal racconto della sua infanzia (il padre autoritario, la madre che decise di affidarla alla nonna), il rapporto con i suoi tutori, con l’amore, quasi impossibile da trovare in un mondo cosí circoscritto, e con, ovviamente, gli altri abitanti della città. Boavita è pur sempre un angolo di campagna impregnato di cultura cattolica e del conservatorismo sociale che essa comporta, ma Mendoza evita di mostrarne le forme banali e facilmente additabili, insistendo invece su quali subdole forme possa prendere questa silenziosa condanna. Uno dei momenti più alti e al contempo sconcertanti del film è l’intervista a un’anziana signora venuta a trovare María dal paese. La vegliarda risponde al regista che le domandava il perché della sua disponibilità: “Sto facendo un atto di carità”. Ne viene fuori una linea di pensiero largamente condivisa in quel villaggio che, concretizzandosi nelle parole di una degli abitanti, va a intendere la presenza stessa della protagonista come una punizione e la sua sopportazione come una penitenza.
In conclusione, Señorita María, la falda de la montaña è un documentario canonico ben riuscito, forte della trattazione retta sui cui si basa e della curiosità che suscita per la situazione raccontata. Analogamente agli altri film della settimana della critica non riesce a distinguersi per tecnica, utilizzo del mezzo od originalità, ma resta comunque un’opera tutto sommato interessante.