Nel cortile di Palazzo Strozzi campeggia un furgone Citroën dall’aspetto vintage: si tratta del mezzo, ex cellulare della polizia, su cui Marina Abramović e Ulay attraversarono l’Europa negli anni Settanta, spinti da un Paese all’altro per quasi tre anni. Giovani, coraggiosi e innamorati, questo furgone rappresenta l’inizio di un’avventura lunga tutta la vita.

Questa avventura è oggi raccontata nella mostra The Cleaner, una grande retrospettiva dedicata all’artista serba visitabile a Palazzo Strozzi dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019. Non è un caso che nella prima sala dell’esposizione sia collocata una lavatrice: The Cleaner è un invito a fare pulizia, a mettere da parte ciò che non è più utile per fare spazio a esperienze nuove più necessarie. Un’essenzialità, anche spirituale, che da sempre contamina il lavoro dell’artista – fin dalla giovinezza a Belgrado, quando Marina realizza quadri di nuvole e installazioni sonore.

L’artista trova finalmente la sua vocazione quando imbocca la strada della performance art: la forma artistica che meglio rappresenta la società contemporanea e il futuro. La mostra di Firenze abbraccia oltre cinquant’anni di attività, con tutte le sfaccettature e le contraddizioni che caratterizzano un tempo così lungo. Il percorso espositivo è rigorosamente cronologico e propone una full immersion, abbastanza completa, nelle sperimentazioni della Abramović. Ci troviamo innanzitutto immersi nella serie Rythm: particolarmente nota è la performance Rythm 0, che ebbe luogo nel 1974 presso lo Studio Morra di Napoli. L’esibizione prevedeva che Marina Abramović dovesse restare ferma, in mezzo a una folla di spettatori che su di lei poteva fare di tutto utilizzando una gamma di oggetti forniti dall’artista; tra i 72 oggetti comparivano prodotti innocui: un vaso di miele, un cappello, un giornale. Ma non mancavano coltelli di varie dimensioni, una pistola e il suo proiettile. Nella sua autobiografia Walk through walls, Marina racconta nel dettaglio quell’esperienza: «Per le prime tre ore non successe molto. Il pubblico era intimidito da me. Me ne stavo lì, con lo sguardo perso nel vuoto, senza guardare niente e nessuno in particolare; ogni tanto qualcuno mi porgeva la rosa, metteva lo scialle sulle mie spalle o mi dava un bacio. In seguito cominciarono a succedere delle cose, all’inizio lentamente e poi in fretta. Fu molto interessante; in genere, le visitatrici dicevano agli uomini che cosa farmi, piuttosto che farlo di persona (anche se più tardi, quando qualcuno mi punse con uno spillo, fu una donna ad asciugarmi le lacrime). Per lo più si trattava del normale pubblico del mondo dell’arte italiana, i mariti con le loro mogli. A ripensarci, penso che il motivo per cui non venni violentata fu che erano presenti le mogli». Rythm 0 è documentata da diverso materiale dell’epoca che offre una testimonianza ricca ma talvolta non curatissima.

La parte forse più nota del suo lavoro è quella condivisa col compagno Ulay. Per tredici anni la coppia da vita a un sodalizio artistico tra i più prolifici; è pertanto impossibile concentrare in poche righe e in poche stanze l’intensità del rapporto che unisce i due artisti.  Fa parte di questo periodo la chiacchieratissima Imponderabilia (1977), una delle cinque reperformances proposte a Palazzo Strozzi dagli allievi della Abramović. Le reperformances costituiscono sicuramente il punto di forza della mostra ma, allo stesso tempo, non possiamo ignorare le scelte inevitabilmente caute nell’allestimento di Imponderabilia. Una performance leggendaria, un pezzo di storia, che a Firenze perde il suo significato originario e la sua forza.

Poche stanze dopo, diversi video raccontano la fine di questa relazione. Si tratta della performance The Lovers: decisi a separarsi, Marina e Ulay percorrono la muraglia cinese, partendo dai lati opposti. Si incontrano nel mezzo, si dicono addio e ognuno prosegue per la sua strada.   «Le persone mettono tanto impegno nell’inizio di una relazione, e così poco nella sua fine» ha dichiarato l’artista.

Il percorso si conclude con i suoi ultimi lavori, quelli che l’hanno consacrata definitivamente al grande pubblico: Balkan Baroque (Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1997), The House with the Ocean View (2002, riproposta a Palazzo Strozzi solo fino al 16 dicembre) e la notissima The Artist is Present (MoMA, 2010).

The Cleaner è una retrospettiva dovuta al lavoro instancabile dell’artista, che negli anni ha saputo seguire un percorso autonomo diventando un nome di riferimento – o meglio, come lei stessa ama definirsi, la nonna della performance art. Il coinvolgimento sempre crescente del pubblico, la durata sempre maggiore delle performance (che talvolta terminano solo quando l’artista perde i sensi), la sperimentazione apotropaica del dolore  e dei limiti fisici: Marina Abramović è tutto questo e molto altro ancora: a settantadue anni continua la sua ricerca esplorando aree vergini, rischiando, senza mai ripetersi.

 

Marina Abramović. The Cleaner

Dal 21 settembre al 20 gennaio

Tutti i giorni inclusi i festivi 10.00-20.00

Giovedì 10.00-23.00

www.palazzostrozzi.org