Sono pochi i registi che hanno quel misto di leggerezza e pragmatismo tali da permettergli di raccontare un divorzio nel più delicato dei modi fino a trasformarlo in quello che si candida ad essere il miglior racconto d’amore della prossima stagione cinematografica. Se infatti non è la prima volta che Noah Baumbach, in lizza per il 76esimo Leone d’Oro con Marriage Story, usa quel misto di ironia e amarezza tipico di un grande conoscitore di Woody Allen per raccontare drammi familiari più o meno intensi, questa volta c’è qualcosa in più di una bella storia raccontata con un misto di umorismo e malinconia.
Questa volta Baumbach, che un divorzio lo aveva già raccontato nel 2005 con Il calamaro e la balena (ispirandosi in parte alle vicende dei propri genitori) riesce a trasformare la fine della storia d’amore tra l’attrice emergente Nicole e il regista teatrale Charlie (due straordinari Scarlette Johansson e Adam Driver) in un invito ad accettare una separazione con serenità e mai con rassegnazione, in un film caratterizzato da una scorrevolezza sorprendente sia per la durata (due ore e un quarto che sembrano dieci minuti) che per il tema trattato.
Quello che poteva diventare un pesante insieme di dialoghi strappalacrime tra i due protagonisti (che comunque ci sono, sebbene fatti a regola d’arte) diventa invece una storia dal ritmo incalzante nella quale quella che sembrava una pacifica separazione consensuale sembra trasformarsi nell’occasione per i suoi due protagonisti di sferrare colpi bassi su colpi bassi all’ex partner, aizzati da due agguerritissimi avvocati d’eccezione: Laura Dern per lei e Ray Liotta per lui (in sostituzione di un più pacifico primo avvocato, interpretato da un ottimo Alan Alda). Punto di forza del film è sicuramente un manierismo nel costruire le scene che può ricordare un Wes Anderson meno cartoonesco, soprattutto nella splendida sequenza d’apertura con cui Baumbach ci presenta i due protagonisti tramite un reciproco elenco dei pregi del partner, salvo poi farci sapere subito dopo della loro imminente separazione.
Quella New York tanto cara all’autore c’è sempre (è lì che inizialmente vivono i due protagonisti assieme al figlio di otto anni), ma solo nella prima parte del film, per poi dare subito spazio a una frivola e soffocante Los Angeles dove Charlie sarà costretto a tornare più volte per vedere il figlio e per trattare con gli avvocati. Come suggeriscono le due locandine pubblicitarie, nelle quali sono ritratte le sagome di Nicole e Charlie riempite rispettivamente da una veduta di Los Angeles e dallo Skyline di New York, i due protagonisti sembrano la rappresentazione plastica di quelle differenze inconciliabili che gli avvocati citano spesso nelle carte dei divorzi, come a ricordare che non c’è niente di sbagliato nella fine di un rapporto, messaggio supportato da un finale sereno e conciliante che lascia lo spettatore con un sorriso molto meno amaro del previsto.