“Il metodo” di Jordi Galceran al Teatro Manzoni di Milano

Già portato in scena qualche anno fa da Cristina Pezzoli con Nicoletta Braschi, Il metodo (in originale, El método Grönholm) è il testo più conosciuto del catalano Jordi Galceran (l’argentino  Marcelo Piñeyro ne ha realizzato – con qualche modifica e conseguenti polemiche – anche una versione cinematografica, El método, 2005). In scena ci sono quattro persone che partecipano a un colloquio di lavoro collettivo durante il quale sono sottoposti a prove che vengono assegnate loro attraverso messaggi inviati con un congegno di posta pneumatica. Durante le prove i quattro subiscono varie umiliazioni e devono confrontarsi in un reciproco gioco al massacro che fa emergere la loro propensione all’egoismo e alla competizione o, al contrario, la disponibilità a sacrificarsi per senso del gruppo, mentre la creatività nel problem solving sconfina paradossalmente, nella disponibilità ad accettare passivamente qualsiasi richiesta venga fatta. Lo svolgimento delle prove riserveranno varie sorprese.

È evidente che una pièce come Il metodo nasce dalla stessa ispirazione che ha portato Jordi Galceran a creare Il prestito (El crédito). Entrambe le commedie intendono essere una rappresentazione grottesca e paradossale delle trasformazioni dell’economia contemporanea, delle logiche sociali che governano le condotte di comportamento nelle grandi organizzazioni e della impossibile conciliazione tra rapporti umani autentici e relazioni di potere. In entrambi i testi, il meccanismo si regge su continui ribaltamenti di ruolo. Le situazioni umoristiche si basano sul fatto che chi in un momento è la “vittima”, subito dopo diventa “carnefice”. Il metodo, che certamente è un testo più riuscito e compiuto de Il prestito, punta a coinvolgere il pubblico nella stessa incertezza in cui sono immersi i personaggi, lasciando che la vera identità di ciascuno di loro resti sino al termine soggetta a dubbi. Quello che alla fine emerge è che ognuno, per stare a galla, è costretto a dare un’immagine di sé che reputa consona all’Organizzazione, e in tal modo finisce per ingannare anche se stesso.

C’è un che di troppo “programmatico” nello svolgimento, e in qualche momento il ritmo tende ad allentarsi (quando i quattro protagonisti devono recitare le parti di un prelato o di un torero emerge qualche lungaggine), ma, nel complesso, lo spettacolo – ambientato in una scenografia essenziale che costruisce un luogo impersonale, freddo e sostanzialmente inospitale (la luce al neon malfunzionante, la porta dalle dimensioni ridotte) – funziona. Gli interpreti (che talvolta – in particolare Alberti – tendono a eccedere nel farsesco) caratterizzano i loro personaggi facendo sì che nessuno di loro risulti mai veramente simpatico né mai veramente odioso: questo contribuisce a rendere l’identificazione dello spettatore incerta.

 

Il metodo, di Jordi Galceran

Regia di Lorenzo Lavia, con Giorgio Pasotti, Fiorella Rubino, Gigio Alberti e Antonello Fassari.

Visto al Teatro Manzoni di Milano, il 5 maggio 2016