Ricordati di dimenticare. Non è un motto latino (né greco, in questo caso), ma una rivendicazione più che attuale ai tempi delle battaglie per il diritto all’oblio. Mila, dell’esordiente Christos Nikou, film d’apertura della sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 2020, sembra immergerci in questa esortazione mentre ci catapulta all’interno di un metaforone non troppo sottile sull’importanza della memoria (e di saper dimenticare).

In una Grecia grigia e invernale, una strana patologia si diffonde senza spiegazioni. Probabilmente colpisce più i giovani o le persone di mezza età, ma non si riescono a identificare né le cause né, tantomeno, le possibili cure. Il sintomo è uno solo: amnesia. Da un momento all’altro stop, non ti ricordi più chi sei, da dove vieni, qual è la tua storia. L’epidemia si espande rapidamente e chi viene toccato, se non ha con sé documenti o non viene reclamato dalla famiglia, finisce in ospedale prima e in un appartamento di riabilitazione poi. Qui ha inizio la terapia sperimentale che prevede un viaggio a ritroso nelle emozioni e nelle esperienze che tutti nella vita facciamo, dall’andare in bicicletta a ballare, rigorosamente da documentare con una Polaroid. Ed è proprio quello che sta facendo Aris.

A Christos Nikou non manca di certo il tempismo. Nonostante il progetto di Mila risalga a otto anni fa, all’epoca della morte del padre del regista, parlare oggi di una malattia sconosciuta che si diffonde velocissimamente e colpisce silenziosa fa un certo effetto. Ma al centro di questa storia non c’è una patologia, né le dinamiche o i processi di rimozione collettiva. Mila si concentra sulla memoria individuale, su quello che il nostro cervello può ricordare o non riesce a dimenticare.

E forse è proprio questo il principale limite di questo film intimo e rigoroso, ma dal respiro un po’ corto. L’atmosfera analogica (dominata dall’uso pervasivo dell’iconica Polaroid), il claustrofobico formato 4:3 delle immagini e la bravura del protagonista Aris Servetalis – già visto a Venezia con Alps di Yorgos Lanthimos – non bastano a riempire una vicenda che diventa troppo in fretta ripetitiva. Anche se, mentre seguiamo Aris alla ricerca delle esperienze perdute, capiamo che la sua è una volontà di amesia, non di memoria. Dimenticare, non ricordare. Vivere da smemorato però, farà capire ad Aris l’importanza di ogni ricordo, anche di quelli che fatichiamo a elaborare.

Con un racconto distopico che rinuncia alle potenzialità universali di un discorso sull’omologazione, sulla perdita di facoltà cognitive legate alla tecnologia o anche, più semplicemente, alle difficoltà odierne di pensare fuori dal coro, Mila punta sul più rischioso percorso introspettivo del singolo, rimanendo però invischiato nella rete del semplicismo.