“Miljeong” di Kim Jeewoon

Intrighi, tradimenti, e spionaggio nella Corea sotto il tallone dell'occupazione giapponese.

Lee Jung-chool (Song Kang Ho) è un ufficiale coreano al soldo della polizia giapponese. Ha il compito di sgominare la resistenza coreana, anche infiltrandosi fra le loro fila se necessario, e in questo compito viene affiancato da un giovane e ambizioso ufficiale giapponese, Hashimoto.

Nel cercare di avvicinarsi al gruppo dei ribelli, Lee Jong-chool entra in contatto con Kim Woo-jin (Gong Yoo), un fotografo il cui studio è uno dei luoghi di ritrovo della resistenza, ed è grazie a questa frequentazione che Lee comincia lentamente a rendersi conto che la sua bussola morale non è poi rotta come credeva.

Kim Jeewoon torna a parlare dell’occupazione coreana da parte dei giapponesi, ma questa volta lascia da parte i toni da kimchi-western di Il buono, il matto, il cattivo e propone invece una vera e propria spy story, ricca di intrighi, doppi giochi, di uber-villains (nessuna sfumatura per i personaggi giapponesi, rappresentati come il male assoluto).

miljeong 1

Questo nella teoria, perché poi alla resa pratica la prima metà del film manca completamente della tensione necessaria a tenere desta l’attenzione, e solo nella seconda metà si rivela in tutta la sua magnificenza (e quando lo fa è davvero una meraviglia).

Kim Jeewoon drammatizza un episodio realmente accaduto durante la guerra di resistenza coreana, l’esplosione di una stazione di polizia giapponese nel 1923 a opera di due combattenti, ma nel farlo si prende troppo sul serio, e lo stile, che è l’onore e il vanto dei suoi film, finisce per prendere il sopravvento sulla storia e sui personaggi.

Miljeong 3

Fortunatamente per tutti (noi spettatori) il protagonista è Song Kang Ho, che come sempre regala un’interpretazione eccezionale. Vere protagoniste del film sono la sua evoluzione interiore, la sua lenta presa di coscienza dell’esistenza di valori per cui vale la pena morire e di persone che, fedeli a questo ideale, rischiano la vita tutti i giorni.

La frequentazione con Kim Woo-jin, iniziata per opportunismo e sotto false pretese, evolve in un rapporto molto più complesso che non è sbagliato definire “fratellanza”, e i gesti estremi a cui Lee giunge nel finale ne sono una diretta conseguenza.

Se l’intero focus del film fosse stato sul loro rapporto ci saremmo trovati di fronte a un’opera forse meno spettacolare ma molto più toccante. L’obiettivo di Kim Jeewoon, però, è chiaramente la grandezza, non l’intimismo (il che è un peccato, perché in The Last Stand aveva dimostrato di saper affrontare con eleganza anche dei toni crepuscolari), l’epica e non il dramma. Il risultato finisce per centrare il bersaglio solo a metà.