“Next Gen” di Kevin R. Adams e Joe Ksander
Alleggerendo il proprio portafogli di 30 milioni di dollari per l’esclusiva della distribuzione in Occidente, Netflix ha fatto tremare l’industry della Croisette per accaparrarsi Next Gen, prima prova al lungometraggio per la coppia Adams-Ksander che, muovendosi tra cliché forse troppo accomodanti e cura formale bizantina, riesce interessante non tanto per quello che racconta quanto per il paradigma distributivo di cui è figlio.
Con un padre che l’ha abbandonata e una madre che non le presta attenzione, l’adolescenza di Mai – Charlyne Yi – non poteva che essere all’insegna della ribellione. Trascinata alla presentazione di un nuovo modello di automa domestico, si imbatte per caso in uno “stupido robot” – John Krasinski – dal cuore tenero che, prendendo alla lettera le sue parole, si impegna a vivere al suo fianco fantastiche avventure: non sa che si tratta di un prototipo (segreto) la cui esistenza minaccia l’immagine del magnate della robotica Justin Pin – Jason Sudeikis. L’amicizia tra la ragazzina e l’ammasso di circuiti sarà così ostacolata dalle mire del miliardario, disposto a tutto pur di salvare la faccia.
È un dato di fatto ormai: le serie con attori in carne e ossa non bastano più a soddisfare un bacino di utenti sempre più esigente e stratificato, e il colosso dello streaming le sta provando tutte per sfondare in un settore – quello dell’animazione – dove le barriere all’entrata sono adamantine. Dal debutto di BoJack Horseman di Bob-Waksberg, la formula «per un pubblico adulto» – l’ultimo arrivato in famiglia è Disenchantment, ritorno di fiamma creativo di Groening – ha continuato a dimostrarsi un investimento sicuro, ma si tratta di un primato difficile da strappare agli attuali detentori – in cima alla classifica c’è Adult Swim, con le sue produzioni indie a basso costo. Netflix ha puntato quindi a diversificare l’offerta, rimpolpando il catalogo anime – vecchie glorie ma anche succulente esclusive come Devilman Crybaby e Kakegurui – e delle serie per bambini, ma sul versante film full-length c’è ancora molta strada da fare.
Ed è qui che entra in gioco Next Gen: prodotto dai colossi Baozou Manhua – sito leader dei webcomic di proprietà di Wang Nima, creatore del fumetto originale 7723 da cui è tratto il film – e Alibaba Pictures con le maestranze dello studio canadese Tangent Animation, era un successo annunciato per il mercato interno. Piuttosto che cercare di arricchire la propria rosa con titoli di vario richiamo, Netflix insomma ha preferito fare un’unica puntata – grossa ma sicura – per recuperare terreno, anche a costo di sborsare più del dovuto per l’esordio di due semi-sconosciuti come gli animatori Kevin R. Adams e Joseph Ksander, conosciutisi sul set di 9 (2009) di Shane Acker e con un’unica regia congiunta – il corto-manifesto Gear (2014) – alle spalle.
Se The Great Wall (2016) di Zhang Yimou era la sanzione plateale di un nuovo assetto produttivo fondato sulla sinergia – i più cauti preferiscono “non-belligeranza” – tra l’industria cinese e americana, Next Gen svela un pattern distributivo di enorme importanza strategica per il Paese di Mezzo, che per certi versi tradisce quella stessa alleanza: da un lato, la Cina continua a riempire le sue 41mila sale con i suoi film, grazie al ristretto tetto massimo all’importazione di pellicole e alle barriere ai servizi di streaming stranieri ; dall’altro, Netflix porta avanti il suo assalto ai – e secondo alcuni al – cinema, attirandone la base spettatoriale con un blockbuster che sul grande schermo non si può vedere. Una spartizione che favorisce indubbiamente la prima, in grado di tutelare la produzione nazionale e di bypassare il potenziale “distruttivo” del provider californiano, incanalandolo al contempo in direzione del suo acerrimo rivale.
Ancora, il futuro paventato da Next Gen è un sino-mondo razzialmente e linguisticamente ibrido, che del sistema cinese riprende anche gli aspetti peggiori come per esempio il modello educativo automatizzato e nozionistico che opprime Mai. Uno scenario distopico, certo, ma più plausibile di quanto non lo fosse il nippo-mondo non problematizzato di Big Hero 6 (2014) – la cui influenza sugli autori è chiara, a cominciare dal protagonista robotico fin troppo simile a Baymax –, dove la commistione di elementi giapponesi era più che altro un fattore di estetica. A differenza del cugino pacifista però, 7723 si fa molti meno scrupoli e asseconda la padroncina seminando il terrore in città con il suo arsenale di missili, mitragliatrici, laser e altri assi nella manica di sicuro effetto scenografico: il tutto per mettere da parte un ricordo felice nella sua scheda di memoria.
Più che per i vorticosi movimenti di macchina – simpatica la scelta di adottare spesso il punto di vista di uno dei mille occhi meccanici di Grainland, piuttosto che fare della mdp un’istanza a sé –, per il racconto di formazione o le trovate comiche, Next Gen si fa notare proprio per questa riflessione, tutt’altro che scontata, sulla memoria: dimenticare è – Borges docet – un meccanismo di difesa indispensabile, ma cosa succederebbe se, come nel caso di 7723, non ci fosse abbastanza spazio “su disco” per ogni ricordo importante? La risposta l’avremo alla soluzione dell’intreccio – in cui si intravvede un altro grande modello, il Brad Bird de Il Gigante di Ferro.
A un primo impatto insipido, Next Gen resta comunque un film in grado di intrattenere dall’inizio alla fine con il suo bel ritmo. A parte questo nulla di nuovo sotto il sole, ma diamo tempo a Adams e Ksander: hanno grandi potenzialità e un raro amore per la fantascienza.