Eyüp ha tante storie in cui giocare una parte e ancora più debiti, un impiego precario, una motocicletta scassata e una pistola funzionante quanto basta; Hemme è il caposquadra dell’unità dove Eyüp essicca pomodori e ha una faccia da schiaffi. La conclusione sembrerebbe scontata ma in questo piccolo villaggio della Turchia rurale tutti sembrano aver bisogno di Eyüp nel dato momento. In Orizzonti a Venezia 81 un esausto saggio sul logorio della vita moderna e su quanto può rivelarsi complicato ammazzare qualcuno al giorno d’oggi.
Esordio tardivo ma eclettico, quello di Murat Fıratoğlu è un debutto politropo nelle vesti di regista e sceneggiatore di una pellicola che ha anche prodotto e recitato nel ruolo di protagonista. Non si tratta per fortuna di un se-ti-sposti-riesco-pure-a-vedere-il-film, bensì di un modesto viaggio nella foga dei sentimenti umani che scema così come monta, con la furia a lasciare il posto all’imbarazzo, lungo le contrade polverose di Siverek. Eyüp litiga pesantemente con Hemme e la situazione trascende quando il secondo insulta la madre del primo (che evidentemente in Anatolia è cosa grave e non precipuità della seconda media), così il bracciante in bancarotta, frustrato e incollerito, decide che non c’è soluzione migliore del duello ottocentesco. Lungo la strada incontrerà alcuni abitanti e parenti e amici, ognuno dei quali finirà per abusare del tempo del nostro aspirante uomo del sottosuolo fino a trascinarlo a casa al tramonto, sbollito e stanco, rassegnato a un’altra banale giornata di lavoro (si spera retribuito stavolta).
Uno zio deve essere riaccompagnato a casa per tagliare il cocomero, un anziano conoscente vorebbe parlare della figlia lontana, un amico chiede di badargli per cinque minuti il negozio, capita anche di incontrare una vecchia compagna di scuola, o quel cugino borioso con l’Audi full optional nuova fiammante. Eyüp è tante cose, come il suo interprete, e tutte contemporaneamente. Non è al centro di nessuna storia se non quella dell’alterco col sonnolento Hemme ma ha una funzione in tutte: uomo ben più empatico e condiscendente di quanto non possa sembrare inizialmente, il protagonista di One of those days when Hemme dies è appunto protagonista solo per un giorno, giorno in cui potrebbe accadere come non accadere una tragedia improvvisa in virtù di qualche presupposto triviale. E da circostanze altrettanto triviali Eyüp viene distratto e ricondotto sulla retta via.
Elogio della banalità come delle storie che da essa vengono attraversate senza esserne svilite, l’opera prima di Fıratoğlu è il tentativo di mostrare quante rette eccezionali possano passare per un unico frivolo punto, quanto sottile è il velo che separa Hemme dal ritrovarsi con un buco nelle viscere a schiacciare l’agognato pisolino davanti alle repliche di Heidi, trovata finalmente pace dalle mosche che lo rendevano insonne e irascibile, nonché in prospettiva vittima di un’omicidio premeditato; il suo carnefice però ha così tanto tempo per premeditare che alla fine desiste.
Fıratoğlu cerca di mettere in scena l’essenza della quotidianità e ne lambisce i bordi, l’ampio spettro di violenta emotività sullo schermo ne riassume l’ambiguità di fondo. L’esplosione di collera dovuta a qualche parola fuori posto rapidamente maturata in umiliazione non viene percepita dagli abitanti del villaggio; Eyüp ha il fuoco dentro ma nessuno se ne accorge, un intero microcosmo è così assorbito dalle proprie monotone consuetudini da rivelare al killer in erba l’effimerità del suo stato d’animo e illustra il paradosso della scivolosa condizione umana/urbana dove il fantasma della violenza aleggia senza sosta sul medesimo quieto vivere in grado di lenire ogni ferita nell’orgoglio quando ne scoverchia la futilità.
Le scelte stilistiche del film rendono ancora più semplice assistere al graduale stemperamento che contrassegna lo sviluppo narrativo: di pari passo stemperano anche i colori e la durezza dei quadri, che diventano sempre più ampi e palesano il piccolo cabotaggio della sensibilità di Eyüp; il film si chiude proprio con un campo lungo dove la figura del singolo rimpicciolisce man mano che si allontana dalla mdp, ridiventando il puntino nel nulla dell’universo che è sempre stato e che One of those days when Hemme dies ha saputo a suo modo nobilitare nel saper esporre, con tutto il pudore del caso, quanta impetuosità può passare per la testa di un uomo comune in un giorno comune, perché è tragicomicamente inevitabile pensarsi protagonisti almeno della propria storia.