A pochi giorni dalla notte degli Oscar, passatempo tradizionale degli appassionati di cinema è la conta degli esclusi e dei grandi assenti: è infatti quasi una tradizione quella di passare in rassegna tutti quei film che prima dell’annuncio delle nominations ci si sarebbe aspettati di trovare in almeno una delle categorie. Quest’anno, tra i critici e gli esperti d’oltreoceano, in molti hanno segnalato come inaspettata l’assenza tra i titoli candidati agli Academy Awards della pellicola indipendente Other People, esordio alla regia del giovanissimo capo sceneggiatore del Saturday Night Live Chris Kelly. Il film è una commedia amara che gira attorno al tema della gestione del dolore all’interno del nucleo familiare.
David (Jesse Plemons), autore comico apertamente gay appena uscito da una lunga relazione, lascia momentaneamente New York, dove vive e lavora, per tornare in California da sua madre Joanne (Molly Shannon), malata di cancro, e da suo padre Norman (Bradley Whitford), che ha ancora grosse difficoltà ad accettare l’omossessualità del figlio.
Malattia, omosessualità, drammi familiari e comici depressi: con una sinossi del genere, è quasi superfluo precisare che si tratta di un film presentato per la prima volta al Sundance, nel 2016, dove però non ha portato a casa nemmeno un premio. Infatti, sebbene a prima vista potrebbe sembrare il classico film indipendente americano, pronto a toccare i soliti tasti senza approfondire veramente niente per bene, la pellicola presenta invece dei grossi elementi di novità rispetto al solito polpettone indie da Sundance: innanzitutto, cosa sempre più rara in una drama comedy, Other People fa ridere.
Impreziosendo una trama all’apparenza scarna e banale con i dialoghi acuti e originali tipici di uno sceneggiatore comico abile come Kelly, il giovane regista riesce sia ad alleggerire la cupezza degli avvenimenti principali (anche e soprattutto grazie all’aiuto di un cast secondario di formidabili caratteristi comici, da Matt Walsh a Paul Dooley alla co-sceneggiatrice del SNL Paula Pell) sia a proporre, senza troppa arroganza, una personale strategia per affrontare i periodi più duri delle nostre vite, come una sorta di invito a sfruttare i momenti di inaspettata e involontaria follia come piccoli momenti di sollievo dalle nostre preoccupazioni.
Altro elemento di originalità è il modo in cui Kelly, omosessuale dichiarato, racconta il mondo LGBT, sferrando fendenti tanto ai bigotti e agli omofobi, quanto alle comunità gay dei centri più piccoli (e non della cosmopolita New York da cui viene il protagonista) che il regista dipinge come incastrati in un grottesco stereotipo (emblematico in questo senso il personaggio del giovanissimo crossdresser Justin).
Certo non bastano questi due punti a rendere il film un capolavoro, e certi passaggi possono risultare addirittura noiosi, ma un approccio per niente banale a un tema visto e rivisto come quello della malattia contribuisce a rendere la pellicola quanto meno godibile.
Da segnalare la straordinaria performance di Molly Shannon, ex comica del SNL alle prese per la prima volta con un ruolo drammatico da coprotagonista, che si rivela come un’attrice più che convincente. Al protagonista invece, il semi-autobiografico Dave, Chris Kelly preferisce scrivere poche battute, quasi a sottolinearne una sorta di passività rispetto alle vicende che lo travolgono, limitando quindi inevitabilmente la performance di Jesse Plemons.