Photophobia è il film di Ivan Ostrochovsky e Pavol Pekarcik presentato come Evento Speciale nel corso della ventesima edizione delle Giornate degli Autori.

È una fredda mattina di febbraio quando il dodicenne Niki e la sua famiglia arrivano alla stazione della metropolitana di Kharkiv per trovare rifugio dai bombardamenti che stanno devastando la città. Il rifugio è pieno di persone che, come la famiglia di Niki, hanno dovuto abbandonare la propria casa e la propria vita per cercare di mettersi in salvo, lasciando indietro tutto.

Compresa la luce del sole, “privilegio” tutt’altro che scontato quando l’aria aperta e il calore del sole diventano sinonimo di pericolo. L’unica luce concessa è quella fredda dei neon che illuminano i luoghi della stazione e a Niki non basta. Orfano della sua normalità, Niki soffre per le privazioni che gli vengono imposte per la sua tutela e finisce per isolarsi. Fin quando fa amicizia con una sua coetanea, Vika, e il tentativo di ricostruirsi un ritaglio di normalità a misura di bambino sembra un po’ meno difficile.

Photophobia restituisce uno spaccato efficace e tutt’altro che privo di speranza nel più disperato dei contesti possibili. I registi si concentrano di volta in volta sulle vite di chi ha trovato rifugio nella metropolitana di Kharkiv, attraverso scorci attenti e intimi della quotidianità delle persone che popolano quei sotterranei. Tra la preparazione di un pasto, le telefonate con chi è rimasto a casa, il canto di una canzone, la cura dei propri animali domestici.

La guerra resta fuori campo pur pervadendo tutto, con l’eco delle sirene e delle bombe a fare da sottofondo lontano ma spaventosamente presente. L’attenzione si concentra in particolare sull’esperienza e il vissuto di Niki e Vika. Entrambi ben consapevoli di quello che sta accadendo attorno a loro, comprendono che è necessario sospendere la vita così come la conoscevano, ma non possono e non vogliono accettarne le ragioni. Perché se le ragioni sono impossibili da accettare per un adulto, sono inconcepibili per un bambino. Ma sul finale, con quell’amicizia appena nata e già forte, il film di Ostrochovsky e Pekarcik lascia un messaggio di speranza e di apertura verso un futuro di nuovo possibile. Con una mano tesa a sfiorare quella luce del sole e quel calore così lontano eppure ancora vicinissimo.