La curiosità di Bella Baxter (Emma Stone) è insaziabile. D’altra parte, per lei tutto è nuovo: nel suo corpo di giovane donna alberga la mente di una neonata. Accudita e monitorata dal padre creatore Godwin (Willem Dafoe), scienziato irrituale e deforme con il talento per gli innesti cerebrali, Bella non ci mette molto a manifestare la necessità inestinguibile di prendere coscienza di sé, scoprire il mondo e le relazioni umane che lo governano. Un viaggio fantastico attorno all’Europa, tra filibustieri, bordelli e un campionario variegato di esistenze multiformi, è l’occasione di smascherare attraverso la sua purezza senza pregiudizi l’ipocrisia di una società sessista, repressa e involuta.

Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore scozzese Alasdair James Gray, Poor Things mescola satira sociale e atmosfere vittoriane rivelando la natura paradigmatica e contemporanea del testo. Non è una favola dark con venature fantascientifiche quella che il talentuoso regista greco Yorgos Lanthimos costruisce attorno a Emma Stone, già perfetta coprotagonista di La Favorita. Poor Things (Povere Creature) è una commedia grottesca e corrosiva, uno schiaffo chirurgico alla cultura patriarcale che, in superficie o carsicamente, mantiene con forza la posizione dominante conquistata nel tempo con pavida brutalità.

Non senza un pizzico di virtuosismi autoreferenziali – legati per lo più alla distorsione delle immagini e all’uso del colore, mai comunque gratuiti – e con qualche ridondanza trascurabile, Lanthimos stravolge il classico racconto di formazione invertendo la direzione tradizionale dell’insegnamento. È la giovane ragazza senza esperienza a rivelare a chiunque incontri cosa si nasconde sotto secoli di incrostate sovrastrutture: il sesso per il piacere di farlo, la libertà del corpo e della mente, la ricerca della conoscenza, la creazione di relazioni paritarie senza vincoli di dipendenza.

La spensierata onestà della protagonista è il motore di una vicenda ricca di sensibilità e coraggio in cui gli uomini da metro di riferimento, misura di tutte le cose, tornano a occupare una posizione degna della propria indole e personalità (qualche volta belando a quattro zampe). Divertente e convincente in questo senso l’interpretazione di Mark Ruffalo, avvocato viveur, seduttore impenitente e vizioso, la cui baldanza viene bellamente scardinata dall’incontro letale con la protagonista, giovane ingenua da concupire.

L’universo pop creato da Lanthimos, a tratti “fumettoso” e a tinte wesandersoniane – se Wes Anderson coltivasse una cinica carica eversiva – è il perfetto catalizzatore di un cinema allegorico ma coerente, metafisico ma estremamente concreto nel descrivere un’umanità immatura e ottusa che ha ancora molto bisogno di “crescere”, lontano da millenarie disfunzioni di genere.