Priscilla è poco più che una bambina, Elvis il volto rivoluzionario del Rock’n’Roll. Si incontrano nella Germania Ovest militarizzata del dopoguerra, nel 1959. Il Re la sceglie subito come sua futura regina. Hanno dieci anni di differenza, lei ne ha quattrodici. Inizia un misurato corteggiamento a distanza prima di riunirsi, con il placet della famiglia della giovane, attorno al focolare di Graceland, a Memphis. Si sposano nel ’67, poco dopo nascerà la figlia Lisa Marie. Ma il lato oscuro della favola attende solo di rivelarsi.

Dopo Elvis (di Baz Luhrmann), Priscilla. Il film di Sofia Coppola è tratto dalla biografia di Priscilla Beaulieu Presley, Elvis & Me, e fin dal titolo propone un rovesciamento di prospettiva. La vicenda è nota, la storia d’amore epocale, conosciuta anche nelle sue pieghe meno edificanti. Eppure il ritratto di coppia messo in scena dalla regista di Lost in Translation, qui anche in veste di sceneggiatrice, rilegge empaticamente le dinamiche più tossiche di una relazione implosiva e aggiorna lo sguardo soffermandosi duramente sulla violenza psicologica della situazione.

Confinando dietro le quinte la vita pubblica di Elvis, i suoi concerti, i musicarelli hollywoodiani, il rapporto malefico con il manager Colonnello, Priscilla ricostruisce, a partire dall’intimità della camera da letto, il lento e distruttivo processo di manipolazione subito dalla Prescelta del Re. Un percorso affettivo imbevuto di cristianità e valori confederati, di pistole e famiglie allargate, di successo, di pillole per dormire e per svegliarsi, di tenerezza e di algido annichilimento.

L’amore assume sfumature diverse, perdendo per sempre l’aura di purezza con cui anche le storie più travagliate vengono troppo spesso farcite. Anche nei momenti più spontanei infatti, man mano che ci si addentra nella vita dei protagonisti emerge la natura univoca del rapporto tra Elvis e Priscilla, dove la sproporzione non è dovuta alla leggendaria notorietà del cantante o al divario economico tra i due, bensì all’atavica volontà di possesso tipica non solo dell’epoca e della società patriarcale più in generale, ma anche di una figura pronta a sacrificare l’amore sull’altare del proprio ego.

Cailee Spaeny vincitrice della Coppa Volpi come migliore attrice – Venezia 80. Photo Romina Greggio

Così la scelta di una ragazzina tra tante, due cuori vicini in terra straniera con la nostalgia di casa, non appare più così casuale e il colpo di fulmine diventa l’eco sbiadito di una fiaba viziata dall’egoismo in cui l’innocenza di una bambina diventa argilla da plasmare secondo i propri bisogni. Ma ha mai avuto realmente scelta Priscilla? Un amore condizionato è sempre amore?

Coppola riesce a coinvolgere lo spettatore senza scadere nel melodramma anche grazie all’ottima interpretazione dei due giovani protagonisti. Se l’Elvis di Jacob Elordi è umano nella sua rappresentazione “casalinga” di idolo tormentato e aguzzino più o meno consapevole, Cailee Spaeny porta con sensibilità sullo schermo una ragazzina fragile e immatura, costretta a rimanere confinata nel perimetro disegnato dall’unica realtà conosciuta, dall’universo creato per lei da Elvis.

Il finale liberatorio nasconde un drammatico presagio grazie allo stridente commento sonoro sulle note di I will always love you: il legame con il principe azzurro divenuto re, è impossibile da superare.