Nelle storie, nelle varie forme e nelle complesse evoluzioni dell’arte contemporanea si è sempre più accentuata la relazione tra l’opera, l’installazione, la rappresentazione e lo spazio circostante sia interno che esterno”. L’apertura del contributo introduttivo che Alfredo Bianchini, presidente della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, riserva a Renzo Piano. Progetti d’acqua, a cura di Fabrizio Gazzarri (24 maggio – 25 novembre, Magazzino del Sale, Zattere, 266 – Venezia), mette opportunamente a fuoco qualità e intendimenti di un progetto espositivo molto particolare. L’iniziativa veneziana che la Fondazione dedica quest’anno all’architetto genovese, infatti, mette in gioco un meccanismo performativo complesso, nel quale 16 progetti realizzati da Renzo Piano Building Workshop, selezionati dallo stesso Piano, sono chiamati a “costruire” più ampie relazioni percettive e simboliche, in uno spazio non replicabile altrove. A questo scopo l’allestimento di Studio Azzurro interagisce con l’intervento che lo stesso Piano nel 2008 (due anni dopo la morte di Vedova) progettò e realizzò per la funzione espositiva del Magazzino; quella machina robotica che “porta” le opere ai visitatori, triangolando prospettive e suggestioni con le monumentali pareti quattrocentesche su cui ancora si sgretola il sale. Un’“invenzione” che prese corpo a coronamento postumo di un lungo percorso condiviso, segnato da un’accentuata sensibilità da parte di entrambi per gli stessi meccanismi di “fruizione” sensoriale e psichica dell’opera d’arte; in particolare, la convinzione di Vedova che il messaggio legato all’arte dovesse essere universale ed arrivare, anche fisicamente (non solo intellettualmente) all’umanità, e perciò uscire e prorompere dalla tela in cui era costretto, per raggiungere così ogni singolo essere umano.

Foto allestimento - Studio Azzurro
Foto allestimento – Studio Azzurro

Più che di “mostra” si tratta, quindi, di una “messa in scena”, come opportunamente sottolineato dal curatore Fabrizio Gazzarri; e lo stesso Bianchini ci tiene a precisarlo per bene, e a scanso di equivoci, in un altro passaggio del suo testo introduttivo: “Non ci sono mappe, carte, matite, inchiostri, lucidi, maquettes, libri e scaffali: è una messa in scena “videotematica” dell’architettura anche con l’utilizzo delle strutture della machina.” Ecco allora che 16 progetti-opere, costruiti dal 1960 al 2017 in contesti e situazioni molto diverse e accomunati da una relazione molto forte con l’elemento acquatico, prendono forma attraverso proiezioni su 8 grandi schermi trasparenti, disposti lungo il Magazzino del Sale, sorretti dalle navette robotizzate ideate da Piano per movimentare le grandi tele di Emilio Vedova.

Il percorso prende le mosse dal progetto per Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono, del 1984. Piano, in questa occasione, realizzò l’arca di legno all’interno della chiesa sconsacrata di San Lorenzo a Venezia ed Emilio Vedova collaborò per i rapporti spazio/luce. Da Venezia inizia dunque un viaggio che si dipana nelle tappe di una specie di circumnavigazione del mondo, toccando Atene, Amsterdam, Oslo, Londra, Genova, Parigi, New York, Osaka, Amakusa, Numea, Santander per concludersi di nuovo sull’acqua, a Venezia, alla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova sulle Zattere.

Il pubblico si muove attraverso un ambiente visivo che rifiuta ogni idea di “cornice”, e si fa piuttosto motore inesausto di ideali sovrapposizioni. Una sorta di incubatrice ove disegni, progetti, immagini e filmati risalgono dai singoli dettagli verso una naturale simbologia di segni interpretativi rivolti al mondo-acqua, accompagnati dal “paesaggio sonoro” realizzato da Tommaso Leddi. Come opportunamente sottolinea il curatore Gazzarri, Piano realizza un insieme di costruzioni che non vivono di aggressive certezze ma di equilibri sottili che sanno rischiare e spingersi verso visioni che aggancino memoria e futuro, scienza e poesia.
Le opere rappresentate in Fondazione Vedova, dall’aspetto buono e propositivo, che
vivono, si spingono e tendono verso il mare sono il simbolo di una volontà di scam-
bio umano e culturale. Le loro forme sembrano planare e posarsi agili nel contesto,
quasi delle piattaforme di ascolto rivolte verso orizzonti che intercettino liberamente
le sensibilità di diversi ecosistemi”.

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