“Quand fondra la neige, où ira le blanc” opera del concettuale svizzero Rémy Zaugg accoglie il visitatore all’ingresso di Palazzo Fortuny, ponendolo davanti a un interrogativo semplice e esistenziale. La mostra aperta fino a ottobre a Palazzo Pesaro Orfei fa parte di un ampio progetto della Fondazione Musei Civici di Venezia volto a presentare al pubblico una serie di collezioni private di valore.
La prima è appunto la collezione di Enea Righi, imprenditore bolognese che nel 1990 inizia a acquistare opere per formare un’incredibile collezione. Il risultato è un’enigma poiché la raccolta avvicina opere diverse, complesse, ironiche, politiche, a volte anche in aperto contrasto tra loro. Osservare l’esposizione in poco tempo è controindicato, soprattutto perché questo “grandioso” contemporaneo lo assaporiamo nel ricco “laboratorio del mago Fortuny”.
In mostra, nonostante l’abbondanza iniziale, si riesce a intravedere il filo rosso del
contemporaneo, per cui al pianterreno il passaggio da un allegro video di Ryan Gander è in sintonia con l’interpretazione fotografica di un conflitto da parte di un bambino, così come i festosi palloncini di Parreno riflettono l’esplosione devastatrice di Hirschhorn. Del resto quale modo migliore per ricostruire l’età contemporanea se non attraverso un puzzle di contrasti?
Ma il vero corto circuito tra sede espositiva e collezione privata avviene al primo piano dove accanto ai pregiati tessuti Fortuny sorridono i deformati ritratti di Douglas Gordon. Salendo di un piano la narrazione sembra spostarsi dal collettivo all’individuale, si parla dell’essere
umano come corpo e insieme di emozioni. Tavoli e teche di legno ospitano la stridente grazia degli arti di cera di Berlinde De Bruyckere e la meticolosità delle riproduzioni vetrarie di Chen Zhen. Inquietanti le presenze/assenze di Ana Mendieta, le foto di Zoe Leonard o l’incredibile video di Kader Attia che mette a confronto maschere africane con volti di soldati sfregiati durante la Grande Guerra. Lo studio dei corpi prosegue in modo differente nei video di Joan Jonas o nelle 101 fotografie di Hans-Peter Feldmann.
Nella lunga “vetrina delle meraviglie” sono invece conservati i libri d’artista di Louise Bourgeois, Andy Warhol, Giuseppe Penone insieme a quelli degli adepti della transavanguardia Cucchi e Clemente.
Ma il re della collezione è Alighiero Boetti che fa capolino da ogni angolo e saletta, sicuramente uno dei preferiti di Righi e forse il più adatto a spiegare il mood della collezione, ovvero “mettere al mondo il mondo”.
Di nuovi possibili mondi e utopie ci parla il gruppo Superstudio, presente al secondo piano accanto a opere concettuali, a Gordon Matta-Clark e Luciano Fabro. Non scordatevi di salire all’ultimo piano, per diverse ragioni: l’arazzo di Carlos Garaicoa El pensamiento, la serie di Roni Horn “Islanda” e infine la vista sui tetti di Venezia.
Le opere presenti in mostra, selezionate dai
curatori Eric Mézil e Lorenzo Paini, sono solo una parte della collezione Enea Righi
ma riescono lo stesso a creare un sentiero nel complicato paesaggio dell’arte contemporanea dagli anni Settanta in poi.
Le opere d’arte sono sempre attuali, come per magia il tempo si ferma nel momento in cui riflettiamo davanti a esse e, così come fa il collezionista, assaporiamo un attimo di immortalità. Ma alla fine resterà traccia di tutto questo bianco, del mondo, di noi?
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