“Per tutta la vita il grande Eduardo De Filippo non volle mai parlare di Scarpetta come padre ma solo come autore teatrale. Quando suo fratello Peppino lo ritrasse spietatamente in un libro autobiografico, Eduardo gli levò il saluto per sempre. Venne intervistato poco tempo prima di morire da un amico scrittore: “Ormai siamo vecchi, è il momento di poterne parlare, Scarpetta era un padre severo o un padre cattivo?”. La risposta fu ancora sempre e solo questa: “Era un grande attore”.

Con queste le parole Mario Martone introduce il suo film Qui Rido Io, in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Un’opera straordinaria, che non racconta solo una parte della vita dell’attore e autore teatrale Eduardo Scarpetta, ma uno spaccato di società italiana e soprattutto del Teatro.

Qui Rido io ha la cifra narrativa di un romanzo (scritto dal regista con la sua sceneggiatrice, e moglie, Ippolita di Majo).
È un film intenso dalla drammaturgia fine ed elegante, naturale e sciolto nei dialoghi, con personaggi disegnati con profondità, accurato nel trasmettere l’atmosfera dell’epoca e nei dettagli (costumi: Ursula Patzak; scenografia: Giancarlo Muselli, Carlo Rescigno; fotografia: Renato Berta).

Mario Marton e Toni Servillo

Siamo agli inizi del 900, Eduardo Scarpetta regna sul teatro. Il personaggio di Felice Sciosciammocca, da lui interpretato, ha messo in un angolo Pulcinella, maschera adorata del teatro napoletano, e ha conquistato il tutto esaurito in città e in tournée. Ha fatto i soldi, si è costruito palazzi, e può mantenere tre famiglie, che la domenica convivono con pace dell’anima di tutti intorno a un tavolo per il pranzo. Il Medico dei Pazzi, Miseria e Nobiltà, Cani e Gatti. Sciosciammocca non sente crisi con le sue risate napoletane.

Toni Servillo incarna spirito ed espressione di un uomo appassionato, un padre di famiglia rigoroso, un amante focoso, regista verace e vorace, mattatore creativo del teatro comico, farsesco, che si gode il successo, sminuendo altre forme d’arte (che nel frattempo stanno prendendo piede, come il cinematografo).
Quando mette in scena la parodia de La figlia di Iorio di D’Annunzio, nonostante il Vate gli abbia dato solo a parole il suo consenso, Scarpetta finisce con l’essere denunciato per plagio dallo stesso autore e da altri artisti dell’epoca.
Inizia, così, la prima storica causa sul diritto d’autore in Italia.

Gli anni del processo saranno logoranti per lui e per tutta la famiglia tanto che il delicato equilibrio che la teneva insieme pare sul punto di dissolversi. Tutto nella vita di Scarpetta sembra andare in frantumi, ma con un numero da grande attore saprà sfidare il destino che lo voleva perduto e vincerà la sua ultima partita

C’è una scena significativa, verso il finale, dove in teatro il giovanissimo Eduardo insegue il piccolo Peppino (come Titina, figli illegittimi, mai riconosciuti da Scarpetta, eredi del talento, qui interpretati dai bravissimi Alessandro Manna, Salvatore Battista e Marzia Onorato), che non vuole avere nulla a che fare con quel padre ingombrante e protagonista, un padre che deve chiamare zio; Peppino ferma il fratello dicendo “vuoi la libertà? È là sul palco la tua libertà (da nostro padre)”.

Qui Rido Io nell’affrontare con brio vari temi (Napoli, il Teatro Popolare, la famiglia, che diventa “una Ditta”, e il rapporto padre-figli, il successo, la fama che sbiadisce, l’essenza e lo scheletro della farsa con la sua storia), senza mai un cedimento in 132′, anche grazie alle musiche (le canzoni della posteggiata napoletana) che entrano in scena ad accompagnare attori (tutti al servizio dei personaggi, tutti da applausi) e accomiatarsi dalle scene, diverte nella sua profondità, coinvolge soprattutto nelle interazioni tra Scarpetta e i figli.