Una storia attuale che va oltre il mondo del calcio.
Il potere deve essere bianconero (1977) e Ragazzi di stadio (1980) insieme alla raccolta di fotografie pubblicate nel libro Ragazzi di stadio (Mazzotta, 1980), sono i tre “pilastri” che hanno permesso a Daniele Segre di tornare a raccontare il mondo della tifoseria juventina, quella degli ultras, i drighi ossia il secondo anello della curva sud.
Sono grato ai Drughi – racconta il regista Daniele Segre – per avermi permesso di entrare nel loro mondo, difficile e controverso. Grazie alla loro fiducia ho potuto, dopo quarant’anni, parlare nuovamente degli ultrà e offrire uno spunto per una riflessione necessaria al fine di capire cosa sta succedendo in Italia, al di là della tifoseria calcistica. Attraverso le storie dei protagonisti, infatti, si affrontano le trasformazioni sociali e ideologiche che il nostro paese ha attraversato in questi decenni. I protagonisti non sono solo i “cinquantenni” personaggi dei miei film precedenti, ma studenti, operai, disoccupati che vivono grazie alla comune fede juventina che, come allora, è l’unica condizione in cui si sentono protagonisti, si riconoscono in un gruppo, in una fede. Lo stadio, che rimane sullo sfondo, è un luogo simbolico che racconto attraverso le vite di chi lo popola.
I drughi prendono il nome da Arancia Meccanica di Stanley Kubrick; inizialmente la tifoseria aveva scelto proprio come nome il titolo del film, controverso e all’epoca censurato, furono, quindi costretti a cambiarlo e scelsero il nome degli infidi protagonisti. Interviste con la telecamera fisse, vecchie immagine di repertorio, dei suoi due film precedenti, fumogeni, cori (discutibili) da stadio, fuochi d’artificio e bandiere tricolori, Daniele Segre racconta un universo che (a noi) fa paura. Senza giudizio, non è la sua intenzione del resto, documenta e lascia che sia il pubblico a trarre le conclusioni.
“40 anni fa il tifo era un fenomeno embrionale, era qualcosa di poetico e anche goliardico. Non c”era quest’organizzazione ferrea con ruoli precisi e definiti. 40 anni fa ero mosso da un’esigenza di curiosità per alcune scritte sui muri. E grazie a quell’esperienza ho raccontato non solo la tifoseria, ma anche l’Italia”.
E infatti questo docufilm, come allora, va letto – perché ne è lo specchio – in chiave socio/politica. E fa paura. Fa mota paura.Quei fenomeni da stadio (affettuosamente parlando) di decenni fa, sono ora diventati un’organizzazione paramilitare con spiccati ideali di estrema destra. Ragazzi di stadio 40 anni dopo è
“un racconto incalzante che descrive le trasformazioni sociali e ideologiche degli ultrà juventini, i Drughi (2° anello curva sud), che rispettano rigorosamente i ruoli attribuiti dal direttivo del gruppo: dal “leader”, al “vice”, organizzatore delle trasferte e interlocutore delle forze dell’ordine pubblico, al “capoguerra”, al “lanciacori”, agli “striscionisti”.
A differenza di 40 anni fa non è stata data l’autorizzazione al regista ad entrare il campo con le telecamere per riprendere i drughi. Nessuna polemica, nessun dramma, ma è comunque un segno distintivo, una cronaca negata di questi tempi. E’ straniante e interessante, a volte sconcertante il racconto dei protagonisti, cosa la curva abbia rappresentato per loro nel tempo – una fuga, una famiglia, un rito arcaico attraverso cui dar sfogo al proprio istinto – dal passato dei Fighters di Beppe Rossi ai Drughi di oggi partendo dallo striscione “Drughi”, comparso la prima volta nella curva Filadelfia del vecchio stadio comunale di Torino nel 1988.