Quello che Oleh Sencov ha portato al festival di Karlovy Vary non è un film. Dunque anche noi non scriveremo una recensione tradizionale, ma piuttosto una serie di riflessioni a caldo, non perfettamente strutturate forse, che inquadrino anche logisticamente l’“evento” stesso della proiezione del suo “Real” nelle sale del festival ceco.

Visto che ne ho parlato diverse volte, mi viene il dubbio se sia ancora necessario presentare almeno brevemente il regista ucraino Oleh Sencov. Ucraino di Crimea, nel 2011 aveva girato un interessante documentario sulla passione di un ragazzo per i videogiochi (“Gamer”), ma poi, invece di potersi dedicare alla regia con serenità, è dovuto passare praticamente attraverso tutte le possibili tappe dell’invasione e delle persecuzioni con cui la russia ha aggredito il suo paese: quando la sua Crimea è stata invasa nei primi mesi del 2014, lui si è subito attivato per contrastare la propaganda e le operazioni con cui il cremlino avrebbe voluto far passare un atto di guerra per un semplice referendum popolare. Fu dunque torturato, condannato sulla base di accuse falsificate, imprigionato nelle carceri russe (con una condanna a vent’anni), sul suo caso è stato girato il film The Trial: The State of Russia vs Oleg Sentsov di Askol’d Kurov, gli è stato attribuito il premio Sacharov per la libertà di pensiero, e solo nel 2019 è stato liberato, nell’ambito di un complesso scambio di prigionieri. Moltissimi maestri del cinema europeo lo hanno sostenuto (mi vengono in mente Ken Loach, Mike Leigh, Agnieszka Holland fra i tanti), le associazioni per i diritti umani lo hanno riconosciuto come prigioniero politico, e la stragrande maggioranza dei festival occidentali ha perorato la sua causa (ivi compresa la Settimana della Critica veneziana, con la quale nel 2018 sostenemmo fortemente la necessità di liberarlo).

Tornato in libertà, egli ha vissuto un breve intervallo di vita “normale”, se per normalità si può considerare anche Rhino (Nosorih)un ottimo film “scorsesiano” (il suo terzo lungometraggio) presentato con successo nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia (qui la mia recensione). Purtroppo, però, con un vicino di casa come putin, è difficile far durare a lungo la vita normale e la serenità, motivo per cui Sencov si è arruolato subito nelle file dell’esercito del suo Paese, quando la russia lo ha invaso di nuovo, questa volta “su larga scala”, nel febbraio del 2022. Anche sui social è possibile seguire l’evoluzione di questa sua durissima esperienza, di modo che quella che è quasi una “guerra in diretta” può ormai essere liberamente seguita da aggiornamenti sulle ferite ricevute e sui drammi dei compagni persi in battaglia. Questa testimonianza diretta dal fronte raggiunge dei livelli tutti particolari in quell’“oggetto” che il regista-soldato ha portato al festival di Karlovy Vary quest’anno.

Chiamare “Real” un film è molto difficile. Solo per il fatto che una videocamera GoPro ha ripreso a mo’ di documentario in soggettiva una fase delle azioni belliche svoltesi in una delle centinaia di trincee in cui è ormai disseminata l’Ucraina forse non basta. Ed è lo stesso Sencov a mettere le mani avanti, dichiarando che i fini di questa “operazione” non sono certo meramente estetici. Come ebbe modo di dire anche il premio Oscar ucraino Mstyslav Cernov, ricevendo la statuetta dorata per il suo “20 Days in Mariupol”, siamo di fronte ad un caso in cui il regista avrebbe assolutamente preferito che un simile nuovo suo film non esistesse affatto. Ma esso esiste, ed è “real”, reale, anzi forse iperreale.

Nell’estate del 2023, nell’ambito di quella che avrebbe dovuto essere la controffensiva ucraina tesa a far recuperare territori e posizioni per Kyiv, l’unità di Sencov (che ora è un tenente dell’esercito) perse un blindato, colpito dall’artiglieria nemica. In una trincea poco lontana il regista-soldato, supportato da alcuni commilitoni, guidò per quasi un giorno intero una complicata e snervante operazione di salvataggio dei suoi compagni, molti dei quali feriti e quasi senza munizioni, che nella posizione con nome in codice “Real” (da cui il titolo del presente lavoro) venivano continuamente bersagliati dai russi, in superiorità numerica e di munizionamento.

Partiamo subito dalla fine, dallo scopo prevedibile di questo prodotto documentale: come ha dichiarato nelle interviste rilasciate qui in Repubblica Ceca, il regista ha voluto dimostrare, senza alcun abbellimento o laccatura eroicizzante, quanto sia tremenda la guerra, e in particolare in quali condizioni difficili il suo popolo sia costretto a difendersi di fronte a forze soverchianti e spesso meglio equipaggiate. Motivo per cui, qualunque sia la posizione di chi legge queste righe, che si sia “pacifisti”, “guerrafondai”, sostenitori di una delle parti in causa o totalmente indifferenti a questa carneficina, Sencov ha il diritto di reclamare, come è prevedibile, la necessità di non far morire senza difese i soldati di cui è responsabile, e che, come nella lunga operazione qui ripresa, sono spesso incapaci anche solo di rispondere al fuoco nemico, a causa di una forte penuria di munizioni. Qualcuno potrebbe dichiarare che questa è una “operazione di propaganda”… Del resto non ci si può certamente aspettare altro che un evidente sostegno a favore di una delle parti in causa, e di ciò non ci si può né stupire né scandalizzare, se consideriamo che un militare in congedo temporaneo su permesso speciale non può certo essere mandato in Europa a glorificare Pushkin o le bellezze della Siberia. Ma se questa fosse propaganda, avremmo a che fare anche con tecniche becere come la volontaria alterazione della realtà, l’abbellimento degli avvenimenti, la deformazione effettuata attraverso fake-news o inviti “pro-attivi” ad unirsi alla “bella vita” della trincea.

Sencov, invece, qui non estetizza nulla, non camuffa, non altera: egli ha affermato di aver scoperto solo mesi e mesi dopo per caso sulla memoria della GoPro che tiene sul proprio elmetto diverse ore di girato relative a quella operazione di recupero. Ne ha estratto una novantina di minuti, probabilmente li ha sottoposti a una leggera post-produzione e li ha “serviti” agli spettatori, più o meno così com’erano. Il film, ricordiamolo, è una coproduzione ucraino-croata, sostenuta da Mike Downey, Boris Matic e soprattutto dal produttore e distributore ucraino Denys Ivanov, che negli ultimi anni molto di buono ha fatto per il cinema del suo paese con la sua Arthouse Traffic. Non ci sono tagli, spostamenti temporali, aggiunte, commenti, didascalie, l’ora e mezzo di comunicazioni radio, di maledizioni rivolte agli occupanti, di confabulazione con i commilitoni, di esplosioni man mano più vicine, di richieste disperate di aiuto sono inanellate senza alcun montaggio sullo schermo, così come furono vissute dai soldati nella trincea. Vediamo dunque i compagni del regista, inquadrati volta per volta che questi gira il suo sguardo/elmetto, gli oggetti lasciati per terra o sugli ammassamenti di terra, fucili, pacchetti di sigarette, le antenne delle radio…Ma soprattutto sentiamo, in “assenza” di molti riferimenti fisico-visuali: la voce di “Grunt”, ossia Sencov secondo il suo pozyvnyj-“nome di battaglia” (di lui vediamo solo un paio di volte, metonimicamente, l’ombra), le voci di soldati che chiedono aiuto, che non sapremo se riusciranno a resistere in vita per così tante ore, le voci dei superiori che non sembrano capire fino in fondo la gravità della situazione, i rumori degli spari, che non è sempre chiaro se siano fuoco “amico” o “nemico”.

Sencov ci dimostra che la guerra è tensione, paura, orrore di fronte alla possibilità di perdere altri “fratelli”, attenzione costante nella speranza di non fare errori che potrebbero costar loro la vita, sacrificio delle migliori energie giovanili (quanti film avrebbe potuto girare, se non gli avessero invaso la casa? quanta altra arte avrebbero potuto creare gli scrittori, musicisti, artisti ucraini uccisi in questi anni dai soldati russi?). In tutto ciò non c’è la minima ombra di bellezza. La guerra è merda, fango, arti tagliati, malattie, impossibilità di vedere i propri figli (un bellissimo bambino è nato a Sencov proprio mentre era già al fronte, così come è successo a molti altri ucraini che sono lì bloccati da mesi), annullamento dei progetti, dei viaggi (è ovviamente la prima volta che Oleh va all’estero negli ultimi tre anni), delle prospettive. Il regista crimeano non ci vuole instillare spirito di emulazione, non ci dà esempi da seguire, non c’è niente di eroico in quello che egli fa, in quello che egli ci mostra in “Real” (anche nelle interviste egli nega quasi per principio la categoria di eroicità agli atti ripetitivi e spesso insensati che è costretto a ripetere). La guerra (soprattutto se non l’hai voluta tu, ma l’invasore) è fatta di una infinita sequenza di atti strani, insensati, che nella vita Reale non ti sogneresti mai di fare: in novanta minuti si ripetono forse duecento volte gli stessi comandi radio sentiti a iosa nei film d’azione, risuonano i nomi di battaglia, i termini tecnici legati a movimenti e armamenti, ma sono tutte parole che con estrema difficoltà raggiungono una coerenza, un livello di espressione logica. Sono parole di pura sopravvivenza, di difesa dall’annullamento, sono mantra, loop sonori, segnali di fumo che dimostrano di essere ancora vivi.

Sencov ci butta in faccia la noia della guerra, la ripetitività asfissiante di una collezione di gesti, atti, parole che formano un puzzle incomprensibile, che forse solo fra dieci anni (questa è per Oleh la prevedibile attesa minima per la fine delle ostilità), a distanza, riusciremo a “spiegare”.

E il cinema? Sì, forse questo non è “cinema”, ma Sencov è regista colto (il suo “Rhino” ne ha dimostrato la capacità di relazionarsi con la storia e i maestri della settima arte), e a noi, in chiusura di queste considerazioni sciolte, che non sono affatto un atto di critica cinematografica “militante”, ma un tentativo molto incerto di immersione nella realtà, piace pensare che mentre riguardava il suo girato gli venissero in mente “Paths of Glory” e “Gallipoli” con le loro trincee, “Uomini contro”, per l’insensatezza degli ordini e degli attacchi contro i nemici, “La sottile linea rossa” e “Il cacciatore”, per le immagini di distruzione della natura e della psiche umana, perfino “Platoon” (che egli stesso ha citato) del filo-putiniano Oliver Stone: “Forget the word hero. There’s nothing heoric in war”.

Un’ultimissima considerazione, legata alle specificità della “fruizione”: è chiaro che questo non è, non sarà, e non è neanche mai stato inteso come un blockbuster, tanto più che invece che un momento di azione ed attacco (in cui probabilmente aveva ben altre preoccupazioni) Sencov ha deciso di illustrarci una fase di stasi e tensione organizzativa. Non sappiamo se “Real” sarà presentato in altri festival o in occasione di raccolte fondi per l’Ucraina, o sarà indirizzato alle comunità ucraine sparse per il mondo (anche se dubitiamo che vedere un momento di evidente crisi dell’esercito nazionale possa servire come collante o come incoraggiamento, altro chiaro elemento anti-propagandistico). Chi scrive queste note ha avuto la fortuna di essere presente alla prima mondiale, con il regista in sala, il 30 giugno 2024, alle ore 18:00, nella “Sala piccola” dell’Hotel Thermal, poche ore dopo essere atterrato all’aeroporto di Praga, dopo molti inutili tentativi di trovare un biglietto (tutti esauriti), grazie ad un biglietto regalatogli all’ultimissimo momento da uno spettatore che aveva cambiato idea, o che forse si era accorto in ritardo che quello che andava a vedere non era l’ultimo capolavoro di Lanthimos… Prima della proiezione Sencov ha chiesto un minuto di silenzio, ha ricordato come buona parte dei suoi commilitoni visibili sullo schermo siano già morti, e che ormai è difficile parlare di un esercito ucraino professionale, quando tantissimi ragazzi che avevano tutt’altra professione e formazione combattono per pura necessità di sopravvivenza. Per quanto la specificità dell’opera la limiti nel suo possibile appeal per un “grande” pubblico (a differenza degli altri film, anche qui al festival è prevista solo un’altra proiezione pubblica), l’ottimo direttore Karel Och era ovviamente presente in sala e ha accolto calorosamente il regista, a dimostrazione e conferma di quanto il festival ceco sia positivamente attento e vicino alle sofferenze del popolo ucraino. In prima fila c’era Viggo Mortensen, che in questi giorni ha avuto modo di incontrare e parlare con Sencov, per esprimergli il suo sostegno. Fra l’altro in sala c’era anche Sergej Loznica (in realtà, ultimamente un po’ ai ferri corti con i suoi colleghi ucraini…), che si è poi fermato a salutare Sencov con cordialità. È seguita una sessione di Q&A abbastanza surreale, in cui alcuni volenterosi spettatori hanno posto all’autore domande sul senso della durata, sul concetto di “sviluppo” nel suo cinema e altre amenità teoriche da scuola del cinema, questioni forse un po’ fuori luogo (o forse no?). “Real” è un documento, più che un documentario, un brano di vita e di morte vissuto (e morto) in diretta, un grido di dolore più che un’affermazione di vittoria, un ricordo per gli amici morti più che una dichiarazione artistica.

Qualche giorno dopo ho avuto modo di salutare e ringraziare Sencov per quello che fa, per il suo cinema e per il suo impegno, e gli ho mostrato una foto che scattammo al Lido di Venezia qualche anno fa, prima che lui dovesse indossare l’uniforme. Mi auguro di rivederlo presto di nuovo sorridente come in quella nostra foto.