La voce di Moni Ovadia sa essere leggera e potente come un colpo di vento. Vento che qui alla Filanda Romanin-Jacur di Salzano spalanca improvviso una porta sulla cultura Chassidica.
Come in una tela di Chagall, nel suo recital Ovadia ci narra storie nelle quali i personaggi fluttuano con grazia nel cielo, sospesi tra sacro e ironia. Ci racconta la spiritualità di quel popolo ebraico senza terra, confini o eserciti, dall’umanità gioiosa, ricca di storie e musica. Ci fa ascoltare quello che era il suono della sua esistenza chiassosa e danzante prima del doloroso silenzio calato durante le tragedie del ventesimo secolo.
Lo Chassidismo é un movimento di massa ebraico a carattere mistico, nato nella Polonia del ‘700. Sorta di esistenzialismo ebraico, fonda il suo pensiero sulla convinzione che Dio è presente in ogni manifestazione del creato e che non tanto lo studio né la rinuncia ai beni della vita possono avvicinare a lui, quanto il servirlo con amore in spirito di semplicità e letizia.
Lo spettacolo si snoda attraverso racconti, citazioni, canzoni, in un tentativo di recuperare quel patrimonio perduto della tradizione orale, quella capacità degli ebrei di raccontare storie, intrecciando spiritualità, ironia e autoironia.
Due ore di riflessione sull’umanità, sul rapporto con Dio, la santificazione del quotidiano, la pietas, la spiritualità dell’ateismo, molti i riferimenti culturali, filosofici, sociali. Alcune incursioni nella retorica e nelle facili critiche alla superficialità del mezzo televisivo e dei suoi miti non bastano a incrinare la solida magia di questo recital denso di parole e canzoni ricche di nostalgia ma anche di passione e speranza.