Si muore ancora per guadagnarsi da vivere. Si muore in fabbrica, durante il turno di notte. Si muore all’improvviso, e “chi resta” (a cui il primo film da regista di Valerio Mastandrea è dedicato) non ha voce in capitolo. Così Ride racconta la storia dei sopravvissuti, della famiglia e degli amici della vittima, nella caotica settimana che va dall’incidente al funerale: una vedova che non riesce a piangere, un figlio decenne che vede il funerale pubblico come un’opportunità per conquistare una ragazza, un padre che le ultime lotte operaie, forse, le ha già combattute. Nel frattempo, la pressione sociale, mediatica e la consuetudine reclamano un lutto fatto di lacrime e disperazione, occhi bassi e capo chino; ma cosa succede se chi resta ride?
Se guadando Ride, anche voi, almeno in prima battuta, avete pensato “Sì ma a questa (Carolina, una brava Chiara Martegiani, compagna del regista nella vita) è appena morto il marito e si comporta come se non fosse successo niente? Ma lo amava?” allora Mastandrea ha colpito nel segno.
Ride parte da un incidente in fabbrica per raccontare una realtà tutta interiore. Lasciateci la libertà di vivere (e morire) con i nostri tempi insomma, seguendo le nostre emozioni. Gli unici standard da rispettare sono quelli di sicurezza che dovrebbero impedire le intollerabili e ancora attualissime morti bianche. La vera denuncia che Ride porta avanti è quella che riguarda l’omologazione, la costante e continua perdita di una libertà che rischia di essere intaccata anche nelle parti più intime, nel dolore e nelle relazioni. Uno stillicidio che affligge una società sempre pronta a giudicare gli altri e che fatica a trovare gli strumenti per riconoscere l’unicità e le differenze come valori inestimabili.
E allora cominciamo a togliere etichette a un buon film, forse imperfetto proprio nel tentativo di trovare lo spazio necessario ai molti e forti temi che lo attraversano – dall’elaborazione del lutto ai conflitti generazionali (in casa e sul lavoro) – che però ha il merito di raccontare con grazia una storia coinvolgente e, in alcuni momenti, toccante.
Le sfumature “malincomiche” a cui ci ha abituato Mastandrea si trasferiscono con naturalezza dal grande schermo a dietro la macchina da presa nell’esordio alla regia dell’attore romano. Un’identità che non sempre fa bene al film, così come qualche concessione di troppo alle belle anche se a volte invasive musiche, ma che allo stesso tempo rassicura felicemente chi ama il talento indiscutibile di Valerio Mastandrea.