Hong Sang-Soo, due anni dopo aver vinto il premio come miglior regista grazie ad Our Sunhi a Locarno, ritorna e presenta al più importante festival svizzero Right now, wrong then, graziosa commedia drammatica che gli vale il Pardo d’Oro 2015.
Ham Cheon-Soo, un altro di quegli “uomini di cinema” che nella maggior parte delle opere di Hong fungono da alter ego dell’autore, è, per l’appunto, un regista che è stato invitato per un dibattito che seguirà una proiezione del suo ultimo film. Per un’incomprensione però, arriva in città con una giornata di anticipo e decide di passare il tempo conoscendo la zona (il girovagare senza meta è un tratto tipico dei protagonisti del regista sudcoreano). Mentre visita il tempio vicino al suo albergo, conosce per caso la pittrice Yoon Hee-Jeong; i due trascorrono molto piacevolmente la giornata assieme fino a quando lui non le rivela d’essere un padre di famiglia, avvenimento che rompe gli equilibri e separa i due. Tutto questo però copre solo metà della durata totale del film, la seconda ora narra la stessa storia, e a mutare sono solo gli atteggiamenti dei due protagonisti: molto più schietto lui, decisamente più preoccupata per il proprio futuro lei.
Solo dalla sinossi si comprende come anche questo film rientri nella poetica di Hong, fatta di sottili giochi narratologici e dialoghi intensi inseriti in un acquerello di quotidianità. Spesso, tanto a Hong quanto ad altri autori completamente diversi (come Burton o De Palma, tanto per fare un esempio) viene mossa la critica di fare sempre lo stesso film, ma per l’autore sudcoreano più che una critica questa è una semplice constatazione. Hong non ha mai fatto mistero, né con la stampa, né tantomeno con le sue opere, del suo modo monotematico di fare cinema. Il regista è interessato ai concetti di realtà e finzione, e di come il cinema riesce a esprimere la prima mascherando la seconda o, più spesso, viceversa. Ma contrariamente a quanto sarebbe lecito aspettarsi, il cinema di Hong nel tempo non si è né involuto in una sorta di espressione della forma che si fa contenuto, né ripiegato su se stesso al punto da essere considerato solo manieristico e lezioso. Anzi, indagando sempre di più sulle stesse modalità espressive e sviscerando tutte le minime variazioni dei suоi espedienti narrativi, Hong è riuscito a dar vita a un proprio percorso cinematografico incentrato sull’evoluzione del linguaggio e sull’espressione di sé attraverso l’immagine. Sulle orme di Éric Rohmer (i cui confronti con l’autore asiatico oggi sono forse troppo insistiti) ma mediante un crescendo analogo, a opinione di chi scrive, a quello di Moretti, il cinema di Hong è culminato con Hill of freedom, brevissimo film (appena poco più di un’ora) in cui la frattura tra fabula e intreccio serve a scomporre il film e assemblarlo nuovamente andando così a creare un’esperienza cinematografica che vuole essere la più completa possibile.
Con Right now, wrong then invece Hong opta per una cancellazione progressiva dell’aspetto puramente cinematografico: la sua già semplice regia si radicalizza al punto da consistere in brevi piani-sequenza a camera fissa talvolta accompagnati a qualche lenta zoomata. Il tutto ha il solo scopo di cogliere il personaggio in quel momento preciso, ancorandolo al contesto con l’uso di obiettivi grandangolari per tutta la durata del film, che fanno in modo, assieme alla fotografia essenziale e ridotta ai minimi termini, di creare uno sfondo statico che richiami il più possibile una scenografia teatrale. Questa semplicità gli permette anche di eccedere nella radicalizzazione delle modalità dello storytelling, che si realizza nell’utilizzo della ripetizione integrale arricchita di variazioni. In questo modo è la seconda metà, quella della verità a risultare idealizzata mentre è la prima, quella all’insegna delle menzogne, delle omissioni e delle parole vuote a sembrare più realistica. Così lo sliding-door tanto amato dal regista non riguarda più solo il film che mediante esso viene narrato, ma diventa il mezzo per mettere a confronto il cinema e la vita: il primo, finzione per eccellenza, diventa vero e la seconda si fa pura fiction, in un paradosso surreale e sofisticato. Hong, senza avere paura di svelare la propria presenza allo spettatore con il montaggio e i movimenti tanto semplici quanto innaturali della macchina da presa, va a manipolare direttamente il concetto di realtà, facendo sì che i dialoghi dei personaggi, ovvero la loro forma di espressione, attraverso la dissimulazione, rendano sul piano pratico ciò che il regista vuole esprimere sul piano teorico, il tutto all’insegna di quella che è la caratteristica forse più sorprendete del cinema di questo autore, ovvero la leggerezza, che fa in modo che Right now, wrong then diventi più grande della realtà che racconta.
In conclusione, Right now, wrong then è un film che può considerarsi un manifesto del cinema di Hong Sang-Soo, rappresentando anche una visione interessante e programmatica per chi vede per la prima volta un film del regista; d’altro canto se non se ne conosce la filmografia, conclusa la visione, potrebbe non rimanerne molto. Quello dell’autore sudcoreano è un cinema che potrebbe risultare troppo teorico e/o borghese per alcuni palati (questo è uno dei rari casi in cui si può dire “o piace, o non piace” senza sfociare nella banalità), però Right now, wrong then è un film imperdibile per chi apprezza il regista e anche per chi ne è semplicemente incuriosito, trattandosi probabilmente del più abbordabile tra i suoi film.