“Separated” di Errol Morris

Vite distrutte

Il tema dell’immigrazione è al centro del dibattito politico odierno: strumentalizzato, esagerato, deformato al punto di essere diventato quasi una parodia, un luogo comune, con il risultato di aver annichilito la necessità di avere un dibattito serio, informato, puntuale. Gli Stati Uniti, paese costruito sull’immigrazione, creato da e per immigrati, non sono immuni da questa bastardizzazione del dibattito e, peggio ancora, delle politiche messe in atto.

Errol Morris racconta il momento più cupo della storia recente USA, la cosiddetta family separation policy istituita dall’amministrazione Trump nel 2018: chi veniva arrestato per immigrazione irregolare veniva anche separato dai propri figli, spezzando migliaia di nuclei famigliari. Attraverso interviste e materiali d’archivio, Morris mette a nudo la vera natura di questa politica: non un’applicazione della legge (chiunque vada in galera viene separato dai propri famigliari, d’altronde, come ripetono a pappagallo alcuni alti papaveri dell’amministrazione), ma una vera e propria strategia giocata sulla pelle di neonati e bambini. La separazione era infatti vista come un potente deterrente per ridurre gli arrivi dal Centro America attraverso la frontiera con il Messico.

Morris firma un documentario con un piglio di denuncia alla Michael Moore ma uno stile più sobrio, secco, espositivo, fatto di documenti, testimonianze, spiegazioni legali e organizzative: non solo riesce nel miracolo di non annoiare, ma colpisce dritto allo stomaco proprio per la pulizia della narrazione, che fa risaltare ancora di più l’orrore e il cinismo di questa politica.

Separated è anche un inno ai civil servants, chi lavora per il governo federale e si è battuto, dietro le quinte o anche davanti a riflettori e telecamere, per bloccare questa politica o quantomeno limitare i danni. Sono loro che animano e danno vita al film, donandogli quel cuore che Morris, nell’unico errore compositivo commesso, cerca di rafforzare con delle scene ricostruite e interpretate da attori nella parte di una delle famiglie vittima di questa politica: anziché aumentare l’immersione dello spettatore, queste scene hanno solo l’effetto di allontanarlo emotivamente, distogliendolo dal vero orrore – un orrore fatto di carte bollate, ordini esecutivi, memorandum, ma non per questo (Kafka e Hannah Arendt insegnano) meno spaventoso.

Non mancano critiche anche alle amministrazioni precedenti e successive e, soprattutto, al Congresso. Se la colpa dell’amministrazione Trump è la crudeltà, quella dei suoi avversari politici è l’accidia, l’inazione: non hanno fatto nulla per impedire che tutto questo accadesse e, soprattutto, nulla per impedire che tutto questo possa di nuovo accadere. Con questo monito oscuro per il futuro si chiude il film: Morris non rassicura, avverte. Sperando che, a differenza di Cassandra, non resti inascoltato.