“Singing In Graveyards” di Bradley Liew

Rock is not dead (yet)

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E’ necessaria un certo tipo di sensibilità per apprezzare appieno la new wave filippina. Né migliore né peggiore di altre, s’intenda, semplicemente si deve essere tarati in modo da poter realmente cogliere le sue sfumature; poetiche di Lav Diaz o Brillante Mendoza esulano talmente da quelli che sono i canonici standard occidentali (e per fortuna) che chi assiste ai loro lavori per la prima volta non può che rimanerne spiazzato.

Questa premessa per dire che, evidentemente, a me questa sensibilità particolare manca. Farò quindi la parte dell’incolto pubblico che si trova di fronte al lavoro non di uno dei “grandi” ma sicuramente di qualcuno che può aspirare ad assurgere a quell’Olimpo.

Singing in Graveyards, presentato alla Settimana della Critica, è l’opera di prima di Bradley Liew, opera benedetta dallo stesso nume tutelare Lav Diaz, che compare in un cameo in qualità di manager traffichino.

Pepe Smith è un impersonatore che campa imitando uno dei grandi del rock filippino, Joey Smith. La vita di questo “falso Elvis” è stata completamente fagocitata da quella della sua ben più famosa controparte, al punto da non avere più famiglia né amici. Tutto il suo tempo è speso a perfezionare la sua interpretazione di Joey, e il coronamento di questa carriera sembra arrivare quando il suo manager (Lav Diaz, per l’appunto) gli comunica che è stato ingaggiato per aprire il concerto dello stesso Smith.

Unica clausola, dovrà scrivere una canzone d’amore che poi Joey canterà sul palco. Questo compito, all’apparenza semplice, metterà in crisi l’intero sistema di valori su cui si fondava la sua vita, perché di che amore potrà mai scrivere chi non se non come copia sbiadita di qualcun altro?

singing-in-graveyards-2016-bradley-liew-01Il grossissimo punto di forza dell’opera è che Joey Smith, aka Pepe Smith, aka Joseph William Feliciano Smith, è davvero uno dei più grandi rocker di sempre, ed è l’interprete di questo film. Se siete digiuni di storia del rock filippino e non, si deve immaginare la stessa trama ma con protagonista Mick Jagger, con cui Pepe Smith ha in comune il volto stropicciato, oltre che l’aura di leggenda.

Si capisce ora come l’opera acquisti una valenza meta che va sovrapporsi indissolubilmente al soggetto originario, e come Pepe Smith abbia dovuto realmente mettersi in gioco per riuscire a interpretare non solo se stesso, ma anche il suo Doppelgänger, in un risultato tragicomico e struggente. Smith è sia la sua parte famosa, che il suo doppio washed out, e questa contraddizione così presente dona al suo personaggio un’intensità senza pari.

singing-in-graveyards-2016-bradley-liew-06-932x371A questo punto però entra in gioco la mia mancanza di sensibilità di cui sopra. Se da un lato lo spunto è eccellente e l’interpretazione intensa, dall’altro i tempi estremamente dilatati e i dialoghi al limite del surreale hanno reso più ostica la visione e, a mio avviso, ridotto la drammaticità annacquando (mi si passi il termine) quello che poteva essere un intenso studio sull’animo umano, le sue contraddizioni e la sua fragilità.

Ma come ho già spiegato, è sicuramente colpa mia, della mia incapacità di cogliere le meravigliose connotazioni insite nella cinematografia filippina cui Bradley Liew è entrato a far parte. Imperdibile per tutti quelli che non soffrono delle mie stesse idiosincrasie.