Fausto è un malato terminale, sa che i suoi giorni sono contati.
Per questo sta programmando la vita dei suoi dei bambini. Ha previsto il loro futuro senza di lui, con una famiglia improbabile, ma famiglia.
6 episodi da circa 50 minuti ciascuno, Storia della Mia Famiglia non ingrana subito. O meglio il primo episodio lascia una sorta di incomprensione sull’evolversi della storia, ma non priva della curiosità di capire cosa succederà. Dal secondo in avanti la narrazione inizia a svelarsi e conquistare. Episodio dopo episodio si viene a conoscenza della storia dei componenti di un clan d’amore cui Fausto impone responsabilità inattese.
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E così ci si trova ad avere a che fare con una serie tv che non si vorrebbe mai abbandonare per la tensione emotiva fatta di di gioie e di cadute, di risate, di persone capaci di commettere errori macroscopici e piccoli gesti eroici. In cui ognuno, nessuno escluso, dando del proprio peggio cercherà di fare del proprio meglio.
Girata tra Roma, Napoli e la costiera Sorrentina, Storia della Mia Famiglia, disponibile dal 19 febbraio su Netflix, è nata da un’idea di Filippo Gravino (che scrive la sceneggiatura con la collaborazione di Elisa Dondi (per gli episodi 2, 4, 5), mentre la regia è di Claudio Cupellini (La terra dei figli). Il cast artistico è guidato da un commovente Edoardo Scarpetta e un’energia Valeria Scalera.
Eduardo Scarpetta Vanessa Scalera Massimiliano Caiazzo Cristiana Dell’Anna Gaia Weiss Antonio Gargiulo Filippo Gili Jua Leo Migliore Tommaso Guidi con la partecipazione di Aurora Giovinazzo | Fausto Lucia Valerio Maria Sarah Demetrio Sergio Libero Ercole Valeria |
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“Storia della mia famiglia è un racconto che ho sentito appartenermi fin dalla prima volta che ne ho letto il soggetto – racconta il regista – Filippo Gravino, con il quale ho scritto tre dei miei precedenti film, conosceva bene i temi ai quali sono legato. Questa serie allarga il suo sguardo su un mondo molto più ampio, che è quello di una famiglia allargata, un gruppo di persone che si stringe attorno a due bambini per preservarne la serenità e dare loro un futuro di speranza dopo la morte del padre e durante un periodo di crisi della madre. Storia della mia famiglia si presentava quindi come un racconto corale, una storia variegata dove avevo l’occasione di scavare dentro i cuori e i pensieri di personaggi molto diversi tra loro, uniti però da una caratteristica comune che non è dato incontrare spesso sia nel mondo cinematografico sia in quello seriale: una strabordante umanità, un cuore vivo e pulsante, che tra mille problemi e infiniti inciampi riesce a colmare i difetti e le imperfezioni tipiche di ogni essere umano”.
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“Ero alle prese con un lutto – racconta l’autore Filippo Gravino – e mi chiedevo quale fosse, se esiste, l’antidoto alla paura, all’inadeguatezza e alla tristezza portate dalla perdita di una persona cara. La risposta piccola, forse anche ovvia, che ho trovato è che questo antidoto si chiama tribù. La tribù non è semplicemente una famiglia, è una comunità ramificata di amici, madri, fratelli, amori e affetti che, insieme, cerca di curare il dolore condiviso del lutto. Ecco, quel che conta è non restare soli, ma far parte di una tribù. Storia della mia famiglia racconta esattamente questo: la costruzione di una tribù per sopportare il dolore della morte”.