“Super Happy Forever” di Kohei Igarashi

Il film d’apertura della 21^ edizione delle Giornate degli Autori è una storia d’amore, percorsa attraverso l’aggrovigliato filo della memoria.

Sano, insieme all’amico Miyata, torna in viaggio nei luoghi in cui ha conosciuto e si è innamorato di Nagi, morta nel sonno, dopo cinque anni di relazione.

Si apprende di questa perdita, che ha visibilmente sconvolto psicologicamente Sano, rendendolo scontroso persino nei confronti di Miyata, fin dai primi minuti: è lì dunque che inizia la vera storia, composta da piccoli momenti di infinita felicità, attimi in cui c’era anche Nagi. Ciò che viene mostrato non è un flashback, non è Sano a ricordare, ma – come suggerito dai movimenti della macchina da presa – sono i luoghi stessi ad essere intrisi delle storie della gente, è la stanza 819, così come la canzone “Beyond the sea”, a fare da tramite tra il presente ed il passato, metaforicamente tra la morte e l’amore.

C’è poi un altro personaggio, Anh, giovane ragazza thailandese emigrata in Giappone, impiegata nello stesso albergo dove i due giovani si conoscono: grazie a lei emerge in un primo momento la caratterizzazione di Nagi, e sempre lei, successivamente, riporta alla mente di Sano avvenimenti del passato, canticchiando l’unico brano musicale del film, vero e proprio leitmotiv. 

L’argomento amoroso è affrontato realisticamente e con delicatezza, senza mai essere smielato; pur essendo potenzialmente molto toccante, la distanza creata tra lo spettatore e l’opera è tale da rendere la pellicola non particolarmente emozionante. Il tempo narrativo, che spesso coincide con quello reale, stimola invece una coinvolgente curiosità riguardo la storia dei protagonisti, che rimane, però, in sospeso, irrisolta, nonostante fin da principio si conosca l’epilogo.

Tuttavia questo espediente sembra essere giustificato, in quanto il punto di vista narrativo potrebbe coincidere con ciò che Sano sceglie di voler ricordare, quell’infinita super-felicità che lo distrugge ma allo stesso tempo lo tiene in vita. Il regista sceglie di non mostrare mai queste dinamiche psicologiche, che rimangono solo accennate ma sono sufficienti a costruire un sottotesto verosimile. La fotografia, semplice ed elegante, mai artefatta, così come lo stile che permea tutta la pellicola, appaiono coerenti allo sviluppo della sceneggiatura.