Ad aprire le danze di questa 19a edizione del Far East Film Festival di Udine è stato Survival Family del giapponese Shinobu Yaguchi, una commedia familiare ibridata con elementi del road movie e del sottogenere post-apocalittico alla sua première europea.

La vita della famiglia Suzuki è stravolta da un misterioso black-out che mette fuori uso tutte le apparecchiature elettroniche del Giappone. Essendo diventato ormai impossibile procurarsi cibo e acqua nei modi convenzionali, il capofamiglia Yoshiyuki  – Fumiyo Kohinata – si propone di lasciare Tokyo per raggiungere il suocero nella prefettura di Kagoshima, una zona rurale dove i beni di prima necessità non mancano. In sella a una bici, il signor Suzuki intraprenderà con la moglie e i due figli un viaggio irto di difficoltà nella speranza di sopravvivere e riguadagnarsi l’affetto dei suoi cari.

Survival Family

A questo progetto Yaguchi, noto per le sue commedie leggere e disimpegnate, ha dedicato 13 anni autoimponendosi la limitazione di non utilizzare alcun effetto speciale al fine di rendere in tutta la sua amarezza – ma anche ironia – la (dis)avventura dei protagonisti.

Nel segno di quella che è la cifra caratteristica del FEFF, ovvero l’elusione della classificazione tradizionale dei generi, Survival Family occupa una nicchia tutta sua: l’impianto narrativo diaristico con la selezione di solo alcune giornate dei tre mesi e più di peregrinazioni e la descrizione di incontri paradossali ma al contempo rivelatori sono riconducibili appunto al road movie, mentre la frustrazione parossistica delle masse e la desolazione dei centri urbani ci riportano a uno scenario da fine del mondo.

Tuttavia, per quanto il film sia eclettico, finisce per scadere nei cliché tipici di ciascun genere cui si richiama diventando prevedibile nel suo alternarsi di colpi di fortuna e sventure. A partire da un contesto di disagio verisimile che pareva essere un intelligente escamotage per porre l’accento su questioni quali la dissoluzione della famiglia patriarcale, l’ossessione per il lavoro, la dipendenza dalla tecnologia e l’incomunicabilità, si assiste a un crescendo di elementi assurdi che smorzano i toni in favore di una comicità più immediata e meno beffarda nei confronti della società giapponese contemporanea. In altre parole, lo sfogo anarchico del signor Suzuki, indubbiamente oppresso dal suo ambiente familiare e lavorativo, non si finalizza e la satira manca di mordente.

Tralasciando queste aspettative non soddisfatte, Survival Family riesce comunque a strappare qualche risata grazie alle numerose gag incentrate sul gap generazionale tra genitori e figli e sulla situazione di “ritorno alle origini” venutasi a creare in seguito al black-out.

Nel complesso, una pellicola d’evasione e facilmente dimenticabile, forse non la più adatta per l’apertura di un festival.