Una lunga, lenta, profonda storia western è il nuovo film di Warwick Thornton, regista australiano/aborigeno, Camera D’Oro 2009 al Festival di Cannes per la sua opera prima Samson & Delilah.
Sweet Country è ambientato nel 1929, nell’entroterra selvaggio dell’Australia del Nord. Non è l’America dei padri pellegrini e degli indiani, ma ha molte similitudini. C’è un paese occupato e un popolo invasore. C’è sempre il bianco conquistatore, che depreda e governa, e gli indigeni del posto, respinti in zone ai confini o resi schiavi.
Sam, un aborigeno, guardiano di bestiame, per difendere, più che se stesso, la moglie e la nipote, uccide il grezzo proprietario terriero bianco Harry March. Praticamente la condanna è già scritta. Fugge con la moglie Lizzie; ma per una situazione imprevista, non possono più continuare a scappare. Decidono di costituirsi entrambi. Sam sarà sottoposto a un processo, in un remoto villaggio senza legge e senza tribunale, da un giudice lungimirante.
Warwick Thornton, regista creativo in grado di ridare purezza all’emotività, utilizza una storia realmente accaduta “me l’ha raccontata lo scrittore David Tranter, riguarda Wilaberta Jack, l’aborigeno che negli anni venti fu arrestato e processato per l’omicidio di un uomo bianco nella Central Australia”.
Girato nella catena montuosa delle MacDonnell Ranges, vicino ad Alice Springs, Sweet Country è un film rigoroso fatto di vedute di terre di frontiera, di una bellezza da togliere il fiato, che si stringono sugli occhi di un uomo, Sam, e di sua moglie Lizzie, nativi resi schiavi, con una fisicità fatta di duro lavoro e santa dignità.
E’ un film che medita sui rapporti interraziali, che immerge lo spettatore in un territorio senza legge dove inizia a prendere forma una lenta consapevolezza della necessità di una rivolta sociale e culturale.