Nel corso degli 85 minuti di questo intenso documentario seguiamo la liceale ceca Johana in un anno molto importante della sua vita: compie 18 anni, prende la patente, si prepara per la maturità e per l’ammissione all’università. Ma tutti questi traguardi passano in secondo piano in una famiglia dove le attenzioni, comprese quelle della stessa Johana, sono quasi completamente fagocitate dalla sorella minore Roza, affetta da autismo atipico…

Essere sorelle maggiori è un’impresa di per sé complicata e carica di responsabilità; essere sorelle maggiori quando la secondogenita ha delle peculiarità di sviluppo come quelle che comporta l’autismo atipico è, ovviamente, ancor più difficile. I documentari dedicati alle persone autistiche o con analoghi disturbi sono solitamente incentrati sui bambini e ragazzi affetti da tali sindromi oppure, in alcuni casi, sui loro genitori. La regista ceca trentenne Marie-Magdalena Kochová, allieva della FAMU praghese, per il suo debutto nel lungometraggio, presentato in prima mondiale tra gli Special Screenings di Karlovy Vary 2024, decide invece di adottare una prospettiva “eccentrica”: rivolge infatti l’obiettivo della sua macchina da presa, dal primo all’ultimo fotogramma, verso la figlia per così dire “normale”, donandole finalmente quell’attenzione che le è sempre mancata dopo che si erano manifestate le criticità della sorella minore Roza – che, come molti autistici, ha varie ossessioni che devono essere soddisfatte e necessita di rituali quotidiani ben precisi, a rischio, in caso contrario, di esplodere in lunghe crisi di rabbia e pianto difficilmente gestibili.

Il titolo potrebbe far pensare che “l’altra”, la “diversa”, sia appunto Roza, e a tal proposito è interessante notare che l’aggettivo druhá del titolo originale significa anche “la seconda”, che potrebbe lasciar intendere “la secondogenita”, ma anche la seconda in ordine di importanza: l’“altra” e la “seconda” è però Johana, appartenente suo malgrado alla categoria dei “figli invisibili”, quelli che, non avendo bisogno di cure speciali, nonostante gli sforzi dei genitori rimangono comunque nell’ombra rispetto ai fratelli “problematici”. Vedere ogni giorno le preoccupazioni e i dispiaceri cui i genitori devono far fronte può portare i “figli invisibili”, da un lato, a chiudersi ancor più nel loro guscio, in modo da non creare ulteriori grattacapi in famiglia; dall’altro, a divenire precocemente adulti, visto l’aiuto che devono fornire in una lunga serie di faccende pratiche.

Teoricamente, nella migliore tradizione del teen movie, Johana dovrebbe raggiungere l’età adulta al termine del film, quando viene ammessa all’università e può lasciare la provinciale cittadina morava dove è cresciuta per trasferirsi nella sicuramente più vivace e stimolante Brno. Ma, in una prospettiva mezza rovesciata, sembra che finalmente la protagonista, più ancora che una sua autonomia e una sua libertà (che riecheggiano il concetto di ‘autodeterminazione’ spiegato dall’insegnante di Johana al liceo), possa conquistarsi una spensieratezza che non ha certo avuto modo di godersi durante un’adolescenza trascorsa, al di là di qualche tiro di basket al campetto del quartiere e i pomeriggi di chiacchiere con poche amiche strette di scuola, a fare del proprio meglio per studiare diligentemente nonostante le costanti crisi della sorellina, i lavori di casa, il supporto ai genitori: il suo sorriso nell’ultimo fotogramma, in cui si dirige in macchina verso Brno, vale più di tante parole.

Johana naturalmente vuole molto bene a Roza, che sa essere un’undicenne affettuosa e adorabile: noi spettatori la vediamo in momenti in cui gioca, ride, abbraccia i genitori e la sorella cui è legatissima, o nel peggiore dei casi mette in ordine oggetti appagando le proprie esigenze maniacali. Sentiamo però anche la sua voce fuori campo urlare in modo animalesco, dibattersi, insultare pesantemente la madre durante le sue crisi (dolorosissime per lei e per chi le sta attorno): questi momenti non ci vengono mostrati, oltre che per pudore, anche per farci concentrare sulla reazione di Johana, che spesso in simili casi si chiude nella sua stanza alla vana ricerca di un po’ di pace, percependo a tratti una rabbiosa frustrazione la cui unica valvola di sfogo è lo sport, a tratti una triste solitudine affine a quella del libro per bambini sulle emozioni e la loro elaborazione sfogliato da Roza. Emozioni che Johana non condivide quasi con nessuno e fa fatica a elaborare, perché gran parte della vita dentro casa ruota unicamente attorno ai bisogni della sorella.

L’esperienza vissuta a partire dalla nascita di Roza spinge non a caso Johana a voler iscriversi a psicologia, forse per continuare a fare, a un livello professionale, ciò che ha sempre fatto sin dai tempi dei vecchi filmati di famiglia che inframmezzano il documentario, dove vediamo la bambina più grande occuparsi della più piccola: ma forse è per lei un bene, alla fine, essere invece ammessa a pedagogia per diventare insegnante e seguire una strada che sia in misura ancor maggiore ‘sua’. Tanto più che, al di là della vita che potrà costruirsi a Brno (cosa che a fine visione non si può che augurarle di tutto cuore), la specificità della sua condizione familiare continuerà a essere determinante: a parte i sensi di colpa per dei genitori che senza il suo aiuto saranno costretti a lavorare (e guadagnare) di meno, e per una sorella con enormi difficoltà di integrazione con i coetanei, che di conseguenza sentirà enormemente la sua mancanza, Johana si interroga infatti su cosa succederà quando suo padre e sua madre non ci saranno più, perché è chiaro che sarà lei a dover seguire Roza.

Il film si chiude dunque con svariati punti interrogativi senza una risposta univoca: come si può garantire a famiglie con figli autistici un’esistenza più serena? Forse bisogna potenziare i servizi assistenziali e la presenza di insegnanti di sostegno a scuola, senz’altro carenti in un piccolo centro come Nový Jičín, sperduto tra Olomouc e Brno? Fino a che punto i fratelli e le sorelle devono “ereditare” le responsabilità dei genitori e farsene carico? Come che sia, i lacci che legano i consanguinei e gli obblighi che portano con sé, che lo vogliamo o no, sono spesso difficili, quando non impossibili, da recidere.