Tra le due cittadine brasiliane di Itaúna e Contagem, nel Minas Gerais, ci sono appena una sessantina di chilometri: una distanza breve che significa però molto per Juliana (Grace Passô): significa mettere un punto a capo tra la sua vecchia vita con il marito e una nuova vita altrove, tutta da ricostruire. Significa lasciarsi alle spalle il dolore di un aborto e aprirsi a una nuova relazione.

La giovane donna lavora in un ente statale che svolge controlli sanitari di casa in casa contro la dengue, una terribile malattia infettiva tropicale. La paga non è alta ma il contratto è sicuro e rimane tempo per instaurare contatti con le persone che va a visitare e soprattutto con Russão, (Russo Apr), collega premuroso e gentile.

Grazie alla nuova vita a Contagem, Juliana a poco a poco acquisisce sicurezza di sé e riesce a tagliare definitivamente il legame con l’ex marito.

I protagonisti sono persone semplici, umili ma dignitose, che lavorano ma che sanno anche essere serene, amare; molti non sono attori professionisti. Juliana è una donna di colore, come pure lo è il trentottenne regista brasiliano André Novais Oliveira, ma questo è un dettaglio come tanti, non si parla di emarginazione bensì di integrazione, di crescita e di normalità. Una normalità resa attraverso la dilatazione dei tempi e attraverso quei particolari che non fanno scalpore: strade polverose, muri scrostati, una anziana che offre una tazzina di caffè… Persino l’immagine dei corpi nudi in un amplesso risulta sottotono: sono corpi goffi, sovrabbondanti, al di fuori di ogni possibile stereotipo.

Un film dai tratti iperrealisti e anticonformisti, già presente al Festival del Cinema di Locarno nel 2018 e che al concorso del 36° Torino Film Festival è valso alla protagonista Grace Passô, trentottenne affermata attrice e drammaturga brasiliana, il premio come miglior attrice.