Donald J. Trump non ha ancora trent’anni e nemmeno i capelli arancioni, ma è determinato a diventare the king del mercato immobiliare di New York. Ambientato tra i difficili anni Settanta e i roboanti anni Ottanta, primi anni della carriera del futuro presidente degli Stati Uniti, The Apprentice non è tanto un biopic, quanto la storia di un uomo senza qualità che va a scuola di egoismo dal più abile manipolatore del suo tempo, l’avvocato e political fixer Roy Cohn, già collaboratore di Joseph McCarthy durante il periodo della seconda “paura rossa”.

Con una ossessione per il Commodore Hotel – che vuole trasformare contro il parere dell’autoritario e abusivo padre Fred Sr (Martin Donovan nel film) in un mega albergo di lusso – e la voglia di fuggire dalla riscossione di affitti da poveretti di ogni etnia nei condomini-alveari con cui il padre si si è fatto i soldi, il giovane Donald applica la lezione appresa dal padre – il mondo è diviso in due: killer (vincenti) e perdenti – e la amplia con le tre regole di Cohn. La prima, la più semplice è “attacca, attacca, attacca”. La seconda: “non ammettere niente, nega ogni cosa“. La terza: la più difficile ma anche la più importante: “mai ammettere la sconfitta“. Il ragazzo-Trump è stato evidentemente molto attento mentre si sentiva telefonicamente con Cohn fino a venti volte al giorno per essere rassicurato sulle sue decisioni.
In fondo è così facile avere un’unica dicotomica convinzione e tre regole. Tutto viene semplificato e gli obiettivi si raggiungono più in fretta, meglio e senza porsi troppi problemi etici. È così che secondo Ali Abbasi e The Apprentice, l’apprendista Donald Trump (il titolo del film rimanda alle 15 stagioni del programma dall’omonimo titolo in cui Trump selezionava, bullizzandoli, top manager e futuri imprenditori) impara a scalare il successo, a usare i soldi degli altri fingendo di essere immensamente ricco e a mentire su qualsiasi argomento. E quando le bugie sono troppo, basta addomesticare qualsiasi realtà ai propri interessi e bisogni. Uno dei piccoli momenti che dicono molto del personaggio: un paio di gemelli da polso regalati a Cohn, già malato, e descritti da Trump come diamanti di Tiffany vengono svelati da Ivana come semplici zirconi perché Donald “è senza vergogna” spiega Ivana Trump (Maria Bakalova).

Il film non dice e non racconta nulla di più di quanto già non sapessimo, quindi niente di nuovo sotto il sole. Ma l’interpretazione di Jeremy Strong nel ruolo dello sgradevole, arrogante Cohn, morto per AIDS nel 1986 dopo aver negato con veemenza fino alla fine di essere omosessuale e affetto da HIV- vale da sola tutto il film. Anche Sebastian Stan costruisce poco a poco il personaggio Trump partendo da uno spaesato ragazzotto armato di troppa ambizione, facendolo traghettare attraverso l’apprendistato di intimidazione, manipolazione e inganno che lo ha trasformato nel parlatore compulsivo che conosciamo oggi. E, a onore di Sebastian Stan, lo fa senza cadere nella facile trappola della macchietta.
Abbasi ha un approccio quasi gentile e incline alla comprensione nella prima parte, ma cambia registro e preme sull’acceleratore della palese disapprovazione, nel ritrarre con efficace estetica e fotografia che rimandano agli anni Settanta e Ottanta, un personaggio che il regista iraniano-danese vede come un reale pericolo per la democrazia.
Non stupisce che ci siano voluti mesi per trovare un distributore dopo la presentazione al Festival di Cannes, ma alla fine il film esce nelle sale di tutto il mondo a meno di un mese dalle elezioni. Con buona pace di Donald J. Trump.
Titolo originale: The Apprentice
Regia: Ali Abbasi
Sceneggiatura: Daniel Sherman
Interpreti: Sebastian Stan, Jeremy Strong, Maria Bakalova, Martin Donovan, Catherine McNally, Martin Donovan
Durata: 123 minuti
Dstribuzione Italia: Bim Distribuzione http://bimfilm.it/
Uscita Italia (Cinema): anteprima 15 ottobre, in sala dal 17 ottobre 2024