È una produzione (anche) italianaThe Burnt Orange Heresy, il thriller ambientato nel mondo del mercato dell’arte che va a chiudere questa 76ma Mostra del Cinema di Venezia. Ambientato in un’immensa villa sul lago di Como, il nuovo film di Giuseppe Capotondi (tratto da un romanzo di Charles Willeford) prova a esplorare il tema del rapporto tra arte, artista e pubblico attraverso le tinte del thriller seguendo in un certo senso il solco di film come La migliore offerta di Tornatore. Interprete d’eccezione della pellicola è niente meno che Mick Jagger, che non solo sembra essersi ripreso dai problemi cardiaci che l’hanno tenuto lontano dai palchi a inizio anno ma dimostra inaspettate doti attoriali.

The Burnt Orange Heresy il protagonista è James Figureas (Claes Bang), noto critico d’arte che riceve un singolare invito nella sua immensa abitazione italiana dal collezionista Cassidy (Jagger). Questi, dopo aver ricevuto Figureas che un’altra ospite della villa, l’americana Berenice (Elizabeth Debicki) propone al critico un accordo sorprendente: convincere il misantropo e misteriosissimo artista Jerome Debney (un Donald Sutherland dall’aria un po’ stanca) a cedergli un suo dipinto, opera che resterebbe un unicuum dato che la casa dell’artista è bruciata con tutti i suoi quadri l’anno primo.

Spiazzato da una sconcertante scoperta sul misterioso pittore, ma deciso a fare onore al patto con Cassidy, Figureas intraprenderà una serie di scelte che porteranno a dei risvolti drammatici. Nonostante una trama tutto sommato accattivante, il difetto principale di The Burnt Orange Heresy sta nel prendersi  troppo sul serio e nel concentrarsi eccessivamente in dialoghi pretenziosi al massimo su un tema importante come quello del rapporto tra artista ed eredità artistica che viene però solo scalfito.

Tolti questi, al film resta una modesta trama da thriller senza particolari colpi di genio, prevedibile e abbastanza scontato in alcuni momenti anche se accompagnato da una regia che fa quello che deve fare, seppur nel più canonico dei modi. La figura del personaggio di Donald Sutherland, ovvero quella dell’artista geloso della propria arte fino al punto di portarla con sé nella tomba, ci viene presentata come la più originale delle trovate quando si tratta di un personaggio visto e rivisto nella sua versione più banale e approssimativa. Stessa cosa vale per il protagonista, un critico protocollare freddo e cinico che mette il denaro davanti all’arte, personaggio di una banalità e di un piattume unici che del resto nem si abbinano alla performance insipida di Bang.