“The end? L’inferno fuori” di Daniele Misischia
A poco meno di un anno dalla sua prima apparizione nel panorama cinematografico internazionale, In un giorno la fine (così era il titolo, allora), approda anche in sala, ora però come The end? L’inferno fuori. Prodotto dai Manetti con il contributo di Rai Cinema, una vera e propria distribuzione capillare – a cura della 01, dettaglio da non sottovalutare – si vedrà a partire dall’inizio dell’anno prossimo, sia nei cinema che, successivamente, in home-video: queste poche proiezioni ferragostane sono solo un antipasto.
Un antipasto che certo promette bene. Di fatto stiamo parlando del primo film full-lenght con tutti i crismi di Misischia, regista giovane e talentuoso finalmente emerso. Dopo tanti interessanti corti e mediometraggi negli ultimi dieci anni L’inferno fuori rappresenta un debole ma vivo segnale di movimento da parte del cinema indipendente italiano, quello che non ha paura di osare – specie in una situazione bloccata come quella odierna – o di mostrare e giocare con i propri limiti, in primis quelli di budget. Stretto come il cordone della borsa è anche il nostra protagonista, un cinico e arrivista consulente economico di una grande azienda – Claudio Verona, interpretato da Alessandro Roja – che rimane bloccato in ascensore tra due piani mentre si reca in ufficio. Questo da prigione improvvisata diviene però il suo rifugio, quando l’edificio viene raggiunto da un virus rilasciato inavvertitamente a Roma che trasforma le persone in bestie incapaci di ragionare e desiderose di sangue.
A partire da questa natura ibrida in grado di mescolare diverse ispirazioni (su tutte 28 giorno dopo di Boyle, l’ultimo Sekely e il sempreverde Bava), il discorso di Misischia va a toccare senza troppi fronzoli anche il cinema di Romero, scegliendo un personaggio che a prima vista suscita solo odio profondo (tradisce la moglie, tratta male la stessa insieme a tutti i “subordinati”, vede le colleghe solo come oggetti sessuali, raggira le persone per incrementare i profitti) traslando in chiave italiana le figure contro cui il maestro americano si scagliava. La sua bruttezza inizialmente non viene scalfita dall’allarme generale, ma poi le orde di violenza e morte lo fanno definitivamente crollare, mescolando il sangue dei sui vecchi collaboratori, ora ridotti e carne marcia, alle lacrime ipocrite del senso di colpa. Il lavoro svolto su Verona mette a nudo l’immagine dello yuppie contemporaneo, carrierista e venale, il cui credo non è, afferma Misischia con forza, poi così lontano da quella legge del più forte che si manifesta con il cannibalismo (in senso lato), perfettamente parallelo alla furia cieca degli infetti (nel senso più letterale, questa volta).
The end? L’inferno fuori quindi non sarà quindi un film originale in tutto e per tutto, ma di inedito indovina espediente e messa in scena, che non è mai poco, specie se rafforzati da una regia quadrata ma efficace, nella semplicità della quale si fa strada – vale la pena ripeterlo – il talento di un giovane regista pieno di voglia che centellina le chicche visive che tiene un passo ritmato senza mai muoversi di un passo. Movimenti di macchina precisi, E-shots sbollati dall’esterno con il grandangolo per deformare lo spazio intorno all’ascensore ed eleganti piani sequenza sono il ricco repertorio a cui attinge Misischia senza mai perdere il filo della narrazione, tenendo altissima la tensione, invece. Per lo scopo che si prefiggeva, il film è più centrato che mai, è gestito alla perfezione, e, a parte qualche scena troppo caricata (si tratta pur sempre di un “mezzo esordio”) e una struttura veramente classica potrebbe veramente andare a costituire un tassello fondamentale, insieme a pellicole come Lo chiamavano Jeeg Robot e Beautiful things, per l’inizio di una “rinascita” del cinema italiano indipendente o di genere. Una visione al cinema la merita senza dubbio alcuno.