C’è un qualcosa di tremendamente affascinante ed incredibilmente efficace in quest’opera di Sean Baker. E’ un colpo di fulmine, una grande storia d’amore che ti fa sciogliere di tenerezza e arrabbiare; e poi ti trascina in un mare di lacrime.
Il titolo prende il nome da un sogno utopico di Walt Disney, un progetto da favola che riguardava i suoi parchi di divertimento. Sean Baker ambienta la sua storia ai margini di Disney World, in una periferia fatta di tangenziali, centri commerciali e negozi di souvenir non degni della grande area di attrazioni e casermoni popolari dai colori sgargianti e nomi ironicamente brutali come Magic Castle, abitati da persone che non possono permettersi di entrare nelle meraviglie turistiche a pochi chilometri di distanza. Persone che lavorano duro quotidianamente per pagare l’affitto. Non c’è niente di più lontano rispetto ai castelli fatati di principesse.Durante un’umida estate calda, alcuni bambini del complesso occupano le giornate facendo marachelle in giro, combinando parecchi guai, alcuni molto seri. Capeggiati dalla seienne Moonee (Brooklynn Prince), piccola selvaggia, Scooty (Christopher Rivera) e Jancey (Valeria Cotto) pensano ancora che il mondo dove vivono sia un parco giochi. Tenuti sotto controllo dall’amministratore dello stabile (Willem Dafoe), che spesso tormentano, crescono più o meno da soli, spesso guardati da qualche vicino, come Scooty, o dalla nonna, come Jancey, o da nessuno, come Moonee. La madre della bambina, Halley (Brina Vinaite, lituana, scoperta da Baker su Instagram) è una scapestrata e incosciente, sembra quasi che rifiuti la vita; già arresta in passato, arranca con piccole truffe. Ama sua figlia, ma è un’adulta incapace di comportarsi come tale. Quando inizia a prostituirsi per pagare l’affitto, non si rende conto della posta in gioco.
Baker riesce a raccontare la storia di questi bambini, di Moonee soprattutto, da più punti di vista. Prima di tutto quello dei bambini stessi, giocoso, impavido, privo di regole; poi c’è quello compassionevole dell’amministratore, rigido, ma con il cuore di chi sa che non finirà bene; quello dei genitori, di Halley, cui non basta l’amore per sua figlia per proteggerla. Sean Baker conduce lo spettatore in tenere risate, gli fa mettere le mani nei capelli, lo porta a indignarsi e a commuoversi, intreccia sentimenti di gioia e disperazione.
E quando lo spettatore si è già preparato a un finale che dà per scontato, Baker lo sorprende e gli regala il finale perfetto, qualcosa di imprevedibile. Non c’è lieto fine, non ci può essere. Resta solo l’incanto di un’amicizia nata dalla condivisione di un’inconsapevole solitudine e dalla comprensione che qualcosa di innocente sta per finire; e resta solo la speranza che una magia possa far sparire un addio. In quel mondo precario dove anche solo la felicità artificiale è a portata di mano, ma irraggiungibile, Baker non solo racconta, ma fa vivere il pubblico in un mondo di emarginati attraverso la vivacità impertinente di questi bambini.