The Illumination Touch – Tributo Speciale e Conversazione con Chris Meledandri

Alberto Barbera, Chris Meladandri e Paolo Baratta - Foto © Romina Greggio

A un giorno di distanza dall’anteprima mondiale di The Secret Life of Pets, al produttore e CEO della Illumination Entertainment Chris Meledandri è stato dedicato un Tributo Speciale della Biennale di Venezia per il suo ruolo fondamentale nello sviluppo del cinema d’animazione. Durante l’incontro tenutosi in Sala Giardino, oltre a ricevere il premio Meledandri ha risposto ad alcune domande relative alle sue esperienze lavorative e al futuro del settore, per poi lasciare spazio alla proiezione dei primi venti minuti del nuovo film targato Illumination, Sing, in uscita a Natale.

Dopo una digressione sulle sue origini italiane per rompere il ghiaccio è iniziata l’intervista vera propria, di cui riproponiamo qui una sintesi essenziale ma fedele.

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Quando è nato il suo amore per l’animazione?

«Ho scoperto l’animazione quando mio figlio aveva 3 anni, non vidi mai cartoni animati da piccolo: i miei genitori preferivano portarmi al cinema a vedere un film con attori in carne e ossa piuttosto che lasciarmi davanti alla tv. Mi sono avvicinato a questo mondo solo negli anni Novanta, all’epoca del rinascimento della Disney»

Qual è la portata dell’influenza della slap-stick comedy e della commedia all’americana nelle sue opere?

«Mio padre mi faceva vedere i fratelli Marx e amavo Peter Sellers per la sua comicità sia fisica che verbale. Tuttavia, probabilmente sono l’uomo meno spiritoso ad aver mai prodotto un film comico! La presenza di diverse influenze la devo a collaboratori come Chris Renaud, cresciuti con l’animazione sin dall’infanzia, e non solo a loro: per fare un film d’animazione ci vogliono migliaia di artisti, ognuno con le proprie preferenze»

Come si avvicinò a questo tipo di cinema a livello professionale?

«Ero un cinefilo, ma non mi interessai al cinema d’animazione finché la Fox non mi coinvolse in Anastasia e successivamente in Titan A.E.. La svolta avvenne proprio in seguito al flop commerciale di Titan, che causò la chiusura definitiva dei Fox Animation Studios: in quel periodo iniziai a pensare per la prima volta a L’Era Glaciale. Ero rimasto affascinato dal lavoro di un piccolo gruppo di artisti impiegati a New York presso la Blue Sky, una divisione della 20th Century Fox: iniziai a elaborare con loro la sceneggiatura e il loro coinvolgimento era totale –d’altronde, era il nostro bambino. La difficoltà maggiore stava nel fatto che fino ad allora nessuno di noi aveva realizzato un intero film in CG, avevamo fatto solo corti: in breve tempo lo staff passò da 40 a 250 effettivi, anche se non avevamo idea di come il film sarebbe stato accolto. In più, dopo Titan la Fox non voleva sentir parlare di animazione»

Perché decise di lasciare la Fox e fondare la sua compagnia?

«Dopo che i miei film avevano iniziato a funzionare, iniziai a sentire l’esigenza di un cambiamento. Ero molto tentato di passare alla Universal ma allo stesso tempo ero terrorizzato all’idea abbandonare la Fox perdendo così un posto sicuro e di prestigio. Pensai dunque che forse la cosa migliore era fondare una mia società, differente dalla Fox e che fosse lo studio d’animazione più internazionale di tutti. La prima settimana di vita della società la passai a Tokyo, dove conobbi alcuni artisti che sono tuttora nostri partner, per quanto a oggi non sia stato ancora prodotto un film a quattro mani coi colleghi giapponesi»

Pur non prendendo parte direttamente al processo creativo, lei è sempre riuscito a imprimere la sua impronta ai film che ha prodotto. Come ci riesce?

«Io inizio col raccontare una storia. In molti casi le idee per un film provengono da me ma sono poi i miei collaboratori, gli artisti, a dare forma a queste visioni. L’idea originale di Sing è stata mia, per esempio, ma è stato Jennings a darle corpo. Anche il concept di Pets ce l’avevo in testa da molto: mi chiedevo: “Cosa fanno i nostri animali quando noi non ci siamo?”. Spesso tendiamo a proiettare su di loro in termini umani le nostre emozioni. La caratterizzazione degli animali l’abbiamo fatta io e Janet Healy, ma fu poi Bryan Lynch a maneggiare il soggetto trasformandolo in sceneggiatura.»