In un albergo svizzero super lussuoso si riuniscono alcuni ricconi per festeggiare il capodanno del 2000, minacciato (in teoria) dal “Millennium Bug”, che potrebbe creare sfaceli digitali e tecnologici, scaraventando il mondo nel caos informatico. Ma lo sfacelo è invece tutto antropologico, visto che i ricchi vacanzieri pronti a ingollare caviale e champagne a volontà rappresentano un’accolita e accozzaglia di vizi, difetti e stereotipi delle classi e nazionalità che essi rappresentano. Il flemmatico direttore e lo staff un po’ schiavizzato dallo strapotere del denaro cercano di intervenire con diplomazia in queste baruffe internazionali.

Non credo serva dilungarsi troppo nel presentare Roman Polanski, “polacco apolide” che si è mosso esistenzialmente e professionalmente fra i vari paesi in cui gli è permesso soggiornare a causa delle note vicende personali, fra film maledetti con sottotesti satanici, incursioni nella grande letteratura (Oliver Twist) e nella Storia più tragica del suo Paese (Il pianista), maestro di dubbi e sdoppiamenti di personalità, ma che qua e là ha anche flirtato con i toni grottesco-comici (Per favore, non mordermi sul collo, Che?…). Ed è proprio da questa sua anima di monellaccio che vuole farsi più o meno benevolmente gioco dei suoi spettatori e de suoi personaggi che dobbiamo ripartire, se vogliamo capire almeno un po’ l’ultimo lavoro del regista novantenne.

Aiutato alla sceneggiatura anche dal suo vecchio sodale Jerzy Skolimowski (nonché dalla terza moglie di questi, Ewa Piaskowska), il discolo Roman prende in giro tutto e tutti con una sarabanda un po’ volgarotta e superficiale, intessuta di umorismo greve anzi che no e di cliché indirizzati alle varie nazionalità: c’è lo stuolo di nouveau riche russi di fine anni Novanta che si muove fra atteggiamenti mafiosi e puttanoni in tacco dodici, l’americano tronfio, imbroglione e pieno di sé che prova a imbastire la truffa del secolo (Mickey Rourke), la madame francese tutta squittii e capricci (Fanny Ardant), accompagnata da un insopportabile cagnolino con problemi di defecazione, ma anche i “piccoli popoli” che alle soglie del nuovo millennio non avevano ancora pienamente guadagnato il loro “diritto di cittadinanza” al tavolo dei Grandi e a quello delle feste (si vedano i rappresentanti cechi e polacchi, da Polanski autoironicamente ghettizzati in lavori e collocazioni di serie B). L’autore in vena di lazzi e schiamazzi, insomma, ci dà dentro di cliché e gag alla Vanzina, inanellando situazioni che in un certo senso sposano Vacanze di Natale con Hollywood Party, ma inanella anche occhiolini e citazioni autoreferenziali, che rimandano non solo ai suoi precedenti lavori dichiaratamente grotteschi, ma anche a certe situazioni da lui già esperite in film inquadrati nell’unità di tempo e di spazio, che anche qui dovrebbero trovare un punto di appoggio nella stravaganza degli accostamenti e negli scontri caratteriali, oltre che nell’effettivamente tesissimo ritmo narrativo.

Ma, e dispiace molto dirlo, se gli ingredienti, il “cosa” sono evidenti e abbondanti, se la critica alla società dei ricconi è divertita e coscientemente sopra le righe, è il “come” che si affloscia in una serie di scenette e situazioncine a volte stancamente imbastite e ancor più fiaccamente ripetute. Il cagnolino di Fanny Ardant che scacazza in giro per l’hotel, il rigor mortis del pene di John Cleese, ricco vecchione “intubato” da una giovane ereditiera neanche troppo graziosa, le valutazioni lusinghiere del grosso arnese dell’ex pornoattore Pongo (Luca Barbareschi, qui anche coproduttore) danno vita ad una vetrina di mostri da fine di mondo e fine carriera che avrebbero potuto essere usati con tutt’altra originalità e finezza.

E, infatti, questo The Palace finisce con il diventare una vetrina di macchiette in rutilante movimento: una sfilata di vecchie glorie rovinate dalla chirurgia plastica (esemplare Sydne Rome, utilizzata decenni fa in tutt’altro modo proprio in Che?), di dannosi sfruttatori delle classi minori che vogliono far volgare sfoggio del proprio benessere, di politicanti che credono di avere tutto sotto controllo, ma davanti ai quali la reale fine del mondo sta per concretizzarsi nelle forme del saluto di augurio del neo-eletto presidente Putin, seguito in tv dai mafiosi russi che sono macchietta caricaturale quanto “filologicamente” corretta degli originali dell’epoca, ma che non possono ancora prevedere lo sfacelo in cui egli porterà il loro Paese. Una unica giornata di Sodoma, insomma, che però non riesce a titillare fino in fondo l’orgasmo organolettico degli spettatori, richiudendosi in un girotondo furibondo di vanità e masturbazioni comiche dove manca il “money shot”.

Tanto sconcertante, inaspettato, stupidotto che, ne siamo sicuri, fra qualche tempo ci piacerà moltissimo. Maestro, tanto tu puoi fare quello che ti pare…