Un po’ Festen, un po’ Jogo de Cena, ma pure un po’ Compagni di scuolaÅterträffen evade dal dimenticatoio dove era finito dopo il breve momento di gloria godutosi a Venezia 70 e sull’onda di dinamiche distributive del terzo tipo sulle quali è raccomandabile non indagare si accinge addirittura a mostrarsi in sale italiane non lambite da una laguna. Sempre poche, per carità, ma comunque abbastanza da non passare troppo inosservato. E invece ci sono elementi che andrebbero osservati eccome in Återträffen, nel bene e nel male, ora nei cinema con il più potabile titolo di The reunion.

Ci sono cose da osservare perché lo stesso Återträffen è un film d’osservazione, intrusiva all’occorrenza. L’immagine osservata con le sue naturali distorsioni è al centro della scena nell’opera prima di Anna Odell, sceneggiatrice, regista e protagonista, nonché epicentro di un’indagine silenziosa che prende pian piano piede in un contesto dove non passa secondo senza urla, crisi isteriche, insulti, sberleffi, piatti rotti, colpi bassi, sceneggiate e tensioni irrisolte che esplodono improvvisamente. Sì: è una rimpatriata di una classe delle superiori, in questo caso una rimpatriata della Svezia bene che è iniziata male e finirà peggio, se finirà, perché i ripiegamenti narrativi forzati dall’autrice scombussoleranno ben presto tanto l’intreccio quanto il rapporto del filmato diegetico con la finzione scenica. Parzialmente tratto da vicende autobiografiche, The reunion vorrebbe portare in scena un film ambizioso che con i suoi stravolgimenti e grazie alle infinite sfaccettature che la dialettica realtà/finzione offre, mira a sviscerare ogni singolo anfratto di un’esperienza privata che deve essere stata decisamente significativa.

La stessa Odell si mette in gioco direttamente, per l’appunto, facendo del suo passato segnato profondamente da episodi di bullismo scolastico il perno attorno al quale viene costruita la sua elaborata rivisitazione dei fatti in chiave artistica. La regista giochicchia con le regole del Dogma 95, utilizzando la camera a mano ora con tutte le auto-limitazioni imposte ora violando le singole imposizioni scimmiottando la tradizione codificata da von Trier e Vinterberg piuttosto che inserendovisi veramente. Andare sempre alla ricerca di un’ulteriore decostruzione, anche quando non è strettamente necessario; questa è la strada percorsa da The reunion, che a furia di decostruire finisce però per rimontarsi storto. Le ambizioni di Odell sono sfrenate, e così incappa nei classici errori dell’esordiente quando confeziona un film troppo vaporoso e poco saldo sui suoi piedi. La genesi autobiografica funge in questo senso da zavorra, permettendo alla debole identità della pellicola di non lacerarsi ulteriormente e rimanere in equilibrio, ma nella seconda parte Odell sgancia anche quest’ultimo peso tirando in ballo un altro strato di elaborazione.

Intendiamoci, la scelta del finto documentario come primo livello di mise-en-scène rientra sempre nel contesto complessivo (che è in tutto e per tutto fiction), ma non funziona perché si prende troppo sul serio. Se l’idea con cui la narrazione si ripiega è quasi geniale, le conseguenze a cui dà vita si rivelano fin troppo complicate da tenere a bada per un’autrice (o comunque sicuramente un’aspirante tale) ancora troppo disordinata. La “vera” Anna Odell teoricamente si sarebbe imbucata a una vera rimpatriata per ottenere del girato che poi avrebbe fatto vedere ai vecchi compagni per ottenere così una reazione sincera da parte loro, sottoponendoli quindi a un’ulteriore provocazione, salvo poi riprendere e far confluire anche quest’ultima parte nel film in senso stretto. Così, in un fiato. Non è da mettere in dubbio che siano stati messi in atto particolari meccanismi, come la selezione di attori improvvisati o non avvisati, o l’inserimento di alcuni elementi di veridicità – e qui riprende Jodo de cena – , ma The reunion va considerato ugualmente come un film di finzione in toto, vale la pena chiarirlo.

Tutto ciò per dire che è finta docufiction? Anche, ma non solo. Più che altro Återträffen nel suo svilupparsi si arrocca in un seriosità che non può permettersi, non avendo nemmeno il coraggio di spingere fino in fondo la sua riflessione nichilistica. E con “fino in fondo” si traduce la riluttanza del film a considerarsi interno alle sue stesse conclusioni. L’opera prima di Odell è quindi un po’ come l’apoftegma che dice che tutto è relativo, senza contare che allora almeno la frase “tutto è relativo” sarebbe non-relativa: un indovinello logico per un occhio critico. Un film ingenuo, un’arma di distrazione di massa che si ritiene superiore alla finzione di ogni cosa mentre predica l’esatto opposto. Le chicche sparse per l’opera, quindi, come i continui episodi di memoria selettiva dei vecchi compagni della protagonista (specie i bulletti), o la falsificabilità di ogni memoria che si svela di volta in volta nei dialoghi tra ex-compagni, capaci di riscrivere uno dopo l’altro i ricordi dell’adolescenza, sono elementi a supporto di una riflessione generale che però non è spinta fino alle sue più estreme e radicali implicazioni, fattore che fa storcere il naso se l’asino casca proprio sulla chiusura del cerchio di un film che ha fatto del rompere le righe, i generi, le regole, tutto quanto (pure un po’ le scatole) il suo assoluto mantra.

Un film immaturo, dunque, innanzi al quale nella mente di chi guarda non può non serpeggiare il pensiero che la foga della regista nell’interpretazione e nell’eccessivo martellamento di fusioni di stili e temerari colpi a effetto (mo’ pure basta con gli scavalcamenti di campo per fare straniamento una scena sì e una no) sia stata reale, forse poiché sentita come un’esperienza strettamente personale, forse perché – più probabilmente – ancora nella fase in cui l’autoironia è in fase di sviluppo, ipotesi rafforzata dal grado di autoreferenzialità che The reunion raggiunge già dalle prime sequenze, con la stessa Odell sempre troppo presente all’interno dell’inquadratura, sempre troppo giusta, sempre troppo trasparente, con dei picchi di egocentrismo infantile che sembrano venire direttamente dall’adolescenza. Rimane sulla carta un buon film se si prova a guardare il quadro d’insieme, per idee, per compattezza, e rimane una visione da provare per l’infinità di stimoli a cui si è sottoposti, ma vien da sé ormai che Återträffen è il tipico caso in cui si guarda con maggiore facilità la parte del bicchiere che è mezza vuota, essenzialmente perché quello che rimane nella memoria dello spettatore (senza che nessuna possa cancellarla, questa volta) è l’immane occasione andata sprecata.