Basato sulla serie manga ideata da Tatsuhiko Yamagami e illustrata da Mikio Higarashi Hitsuji no ki (2011-2014), The scythian lamb di Yoshida Daihachi – noto soprattutto per The Kirishima thing e Pale Moon – è un thriller dalle ottime premesse che spreca tutto il suo potenziale dietro a un triangolo destinato a risolversi nel più prevedibile dei modi.

Per svuotare le prigioni e ripopolare le campagne il governo giapponese ha appena dato avvio a un nuovo programma di reintegrazione: 6 fortunati detenuti (tutti assassini) avranno la possibilità di trascorrere un periodo di prova di “soli” 10 anni nella cittadina di Uobuka sotto lo sguardo vigile del funzionario comunale Hajime TsukisueRyo Nishikido. Le cose sembrano andare per il verso giusto, almeno fino a quando la scoperta di un cadavere non fa riemergere i pregiudizi sopiti. Tra i nuovi residenti, l’enigmatico Ichiro Miyakoshi – un Ryuhei Matsuda da mani nei capelli – proverà a intrecciare una relazione amorosa con l’ex di Hajime, FumiFumino Kimura –, salvo poi dimostrarsi un recidivo.

ll titolo allude alla leggenda degli agnelli di Scizia, pecore che si dicevano nascessero dallo stelo di una pianta per poi cibarsi delle foglie della stessa finché per entrambe non sopravveniva la morte. Difficile dire cosa ciò stia a significare, considerato che The scythian lamb è un film così povero da neutralizzare anche i pochi spunti di riflessione interessanti: pensando alla situazione dei protagonisti – uno dei quali a un certo punto trova infatti un piatto raffigurante le creature mitologiche di cui sopra –, potrebbe essere un riferimento alla condizione stessa dell’ex detenuto reinserito nella società, concepito da quest’ultima più come una leggenda metropolitana che come una categoria di emarginato, incapace di sopravvivere al di fuori del carcere.

Eppure i presupposti per creare tensione ci sono tutti: 6 potenziali criminali in un’area geograficamente ristretta a contatto diretto con i buoni paesani. Iniziando con un tono piacevolmente a metà tra il comico e il grottesco, un montaggio alternato ci mostra appunto due personaggi compiere un mestiere collegato al loro omicidio – un barbiere che ha tagliato la gola a un cliente che torna lavora in una bottega da barbiere; un ex yakuza che ha strangolato la sua vittima con fil di ferro che armeggia con una reggetta presso un lavasecco.
Ma Daihachi abbandona troppo presto la costruzione della suspence preferendo focalizzarsi sul rapporto tra Ichiro – probabilmente malato mentale – e l’irreprensibile Hajime. Per raggiungere le due ore il tutto viene inframmezzato da episodi di fatto irrilevanti per la trama – soprattutto considerato l’epilogo – e che hanno il solo scopo di tirarla innanzi il più possibile, come l’innamoramento tra la bella infermiera – anche lei giunta a Uobuka grazie al programma speciale – e il padre di Hajime.

Come se non bastasse, non si scorge la benché minima traccia di personalità autoriale nella regia. Un film anonimo a tutti gli effetti che non disdegna il melodramma e le trovate spettacolari tipiche delle produzioni televisive fatte con lo stampino. The scythian lamb è insomma il perfetto esempio di un buon soggetto buttato alle ortiche.