“Tony”, all’anagrafe Pasquale Donatone, è italiano ma vive da 40 anni negli Stati Uniti. Tassista di professione in Arizona, un giorno viene arrestato per aver trasportato dei migranti illegali negli USA. Viene deportato in Italia, ma la sua vita a Polignano a Mare gli va stretta: giorno dopo giorno, Tony si convince sempre di più che il suo destino è quello di tornare negli USA, costi quel che costi.
La storia vera e la personalità di Pasquale Donatone contengono delle tinte di assurdo tali da renderle naturalmente il soggetto di un film: lo stesso regista Ascanio Petrini, alla sua opera prima, ha raccontato di aver concepito l’idea di questo film solo dopo aver incontrato Tony e aver potuto apprezzare l’eccezionalità della sua storia e del suo carattere.
Ogni elemento di interesse nel film, tuttavia, inizia e finisce con la stramba vicenda di Tony: nonostante la vicenda si presti a numerosi elementi di critica sociale (il concetto di “confine”, la possibilità di deportare qualcuno dopo 40 anni vissuti legalmente in un paese), questi temi rimangono sempre distanti, sullo sfondo, quasi schiacciati dalla strabordante stramberia del suo protagonista.
Questa scarsa profondità è probabilmente la conseguenza della principale scelta registica di Petrini, che imposta il film come una sorta di mockumentary al contrario, in cui le vicende reali del protagonista vengono ricostruite e messe in scena da Tony stesso. Il risultato è, spiace dirlo, poco convincente: una finzione narrativa che toglie al realismo senza guadagnare in emozione e immedesimazione. Tony non è un attore e si vede, e le scene già accadute e ricostruite ex post risultano quindi macchinose e poco credibili. Il ritmo è bassissimo, e si procede per scarti ed ellissi che, anziché accelerare la storia, finiscono paradossalmente per rallentarla.
Molti difetti sono senza dubbio comprensibili visto che si tratta di un esordio, e Petrini dimostra comunque di avere buon occhio per la composizione delle immagini e per catturare l’anima di location molto differenti tra loro. Tuttavia, Tony Driver ha poca anima, e non sfrutta appieno l’eccezionale storia del protagonista né per criticare le assurdità burocratiche di cui è vittima, né per raccontare una di quelle maschere che popolano la grande commedia all’italiana. È quindi un film piatto, poco incisivo, che lascia poco allo spettatore, ed è quindi destinato a farsi dimenticare in fretta.