Venezia, Teatro La Fenice – Ariadne auf Naxos

Ariadne auf Naxos nacque dalla proficua collaborazione di Richard Strauss con Hugo von Hofmannsthal ed è lavoro ricco di spunti di riflessione sempre attuali. Il teatro nel teatro, la superiorità delle arti e la commistione degli stili sono i frutti della Stilverdrehungsmanie di Hofmannsthal che, come i tragediografi greci, fece del mito materia fluida da contaminare. Indubbie sono le dicotomie attorno al quale ruotano il Vorspiel e l’Oper. Nel primo, i capricci dell’invisibile mecenate viennese sparigliano le carte alla compagnia musicale e ai commedianti, innestando la diatriba, tipica del Settecento, se venga prima la musica o le parole, che finisce per ibridarsi in un mix affascinante. Nel secondo, si contrappongono due approcci differenti al tema della fedeltà: Kokette come Zerbinetta o granitiche fino alla morte come Ariadne? Chiodo scaccia schiodo o Todestrieb? L’arrivo di Bacco mostra la via: il Dio e Arianna hanno dovuto esperire, a loro modo, il dolore per passare dallo stato di preesistenza, angosciosamente legata al sintomo freudiano, alla metamorfosi.

Tutti temi che Paul Curran, regista del nuovo allestimento del Teatro La Fenice di Venezia in coproduzione col Comunale di Bologna (dove debuttò due anni fa) e il Verdi di Trieste, sviluppa con gusto. Se nel prologo l’azione è concitata per il susseguirsi dei numerosi personaggi e arricchita di sagaci controscene – ahimè non manca il cellulare con cui le maschere si fanno ripetuti selfie – nell’opera l’atmosfera diventa sospesa, eterea e notturna fino alla comparsa della divinità che trasecola gli amanti verso un indefinito futuro dorato. Misteriosi fauni e creature alate, che ricordano gli angeli di Gustave Moreau, compaiono nell’abbandonata Nasso, si mischiano poi ai commedianti e alle altre creature mitologiche per consolare Arianna che solo con l’arrivo di Bacco abbandonerà l’ampia gonna blu in segno di rinascita.

Perfettamente riuscite sono le scene e i costumi di Gary McCann, valorizzate dal light design di Howard Hudson. Nell’ampio salone secessionista, fogge vistose e colorate differenziano i comici dalle tinte più sobrie degli artisti drammatici. Il Komponist è l’unico a indossare un abito nero, mentre le maschere nell’Oper rifulgono in bei completi rosa Pantone. Geniale il teatro barocco di rovine classiche che lascia poi lo spazio vuoto per la grande aria di Zerbinetta. Nel duetto Bacco-Arianna, in cui le tinte richiamano atmosfere munchiane con contrasti primari tra blu e giallo, Curran crea un’efficace climax che, complice ovviamente la musica intensa di Strauss e il libretto di Hofmannsthal, non può che commuovere chi guarda.

Markus Stenz concerta e dirige con stupefacente attenzione ai volumi, così da non coprire mai le voci. La sua lettura è precisa, pulita e luminosa, valorizzando le sonorità straussiane che vanno dagli echi settecenteschi ai toni wagneriani del finale.

Il cast si rivela davvero di alto livello. Nel ruolo eponimo c’è Sara Jakubiak, Primadonna e Ariadne sublime nel fraseggio e dalla voce potente ben proiettata, omogenea in ogni registro, dalla linea di canto assai fluida e padroneggiata con estrema disinvoltura. Arianna appassionata, supera a pieni voti il banco di prova “Es gibt ein Reich” (indimenticabile l’attacco di “Ein Schönes war”) e il duetto con Bacco.

La Zerbinetta di Erin Morley rapisce per la generosità della coloratura, affrontata con sicurezza e disinvoltura. Si trova a suo agio sia nel canto lirico del duetto col Compositore, sia nell’impervia “Großmächtige Prinzessin” che le fa conquistare l’unico lungo applauso a scena aperta.

Davvero umano il Komponist di Sophie Harmsen, capace di sfumature assai coinvolgenti che arrivano davvero allo stomaco dello spettatore. Bacco di lusso quello di John Matthew Myers, tenore dalla voce robusta che si destreggia abilmente nella tessitura difficilissima del ruolo. Pregiato il Musiklehrer di Markus Werba, parte da lui assai frequentata negli anni.

Efficaci il Tanzmeister di Blagoj Nacoski, il Perückenmacher di Francesco Milanese, l’Offizier di Nicola Pamio e il Lakai di Matteo Ferrara. Nel quartetto delle maschere spicca l’Harlekin precisissimo di Äneas Humm, mentre Mathias Frey, Szymon Chojnacki e Enrico Casari sono rispettivamente corretti Scaramuccio, Truffaldin e Brighella. Bena assortito è il trio delle ninfe, composto dalla Dryade di Marie Seidler, la Najade di Jasmin Delfs e l’Echo di Giulia Bolcato.

L’Haushofmeister è Karl-Heinz Macek che con piglio quasi indifferente detta i tempi del Vorspiel.

Consensi e applausi calorosi, in particolare per Jakubiak, Morley e Stenz, alla replica del 25 giugno.

Luca Benvenuti