Venezia, Teatro La Fenice – Der fliegende Holländer

VENEZIA – Marcin Łakomicki, regista del nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice di Der fliegende Holländer, dichiara di aver preso ispirazione da “In realtà non accade nulla”, una poesia del cantautore polacco contemporaneo Grzegorz Turnau. Constatiamo che Łakomicki deve aver preso troppo alla lettera il titolo, in quanto in due ore e mezza l’azione scenica, seppur presentando idee convenzionali, è pressoché quasi totalmente statica, consegnata dal regista all’elucubrazione cervellotica dello spettatore.

In un’ambientazione cupa, a cui contribuiscono le scene pesanti e grossolane di Leoni Wolf (Böcklin è dietro l’angolo) e il light design di Irene Selka, i personaggi non dialogano tra loro, non fanno circolare la trama, ma semplicemente si esibiscono nel canto. Nel primo atto, lo scheletro del vascello è abitato anche da immancabili donne fantasma, in stile Picnic at Hanging Rock, fonte di ispirazione per i costumi di Cristina Aceti, mentre gli uomini, tutti vestiti di nero, paiono più ombre che persone. Nel secondo atto, Senta è separata dalle donne del villaggio da un velario che spinge l’azione in cima al proscenio. Nel terzo atto, una prospettiva a cornici ospita il coro maschile, mentre si affollano i doppi di ciascun protagonista, caratterizzati nelle loro manie (il sonno del Timoniere, la brama di denaro di Daland, la vanità di Mary…). Ecco, il tema del Doppelgänger, usato e abusato oggigiorno, compare fin da subito come catalizzatore, ma rimane sviluppato in un cortocircuito di significati pressoché superflui ed estranei alla poetica del titolo. Per il resto, lo scorrazzare delle fanciulle fantasma, il doppio di Mary che gira su stessa per quasi tutto il Coro delle filatrici, la morte (incomprensibile) di Erik ed altre scelte registiche appartengono a un fare teatro che richiede un maggior studio del concetto.

Sul piano musicale, Markus Stenz sa il fatto suo, l’orchestra risponde pronta alla indicazioni precise del direttore, non senza alcune minime imprecisioni. Le dinamiche e i colori scelti ben sottolineano i vari temi dell’opera, seppur a volte coprano i cantanti.

Chi non ha problemi a farsi sentire è Anja Kampe, Senta più adulta che adolescente, sempre chiara nel fraseggio e nei volumi, tanto da imporsi sull’orchestra stessa nei passaggi più ardui. L’acuto è spesso limpido e squillante, e non mancano estro e sentimento nei momenti più lirici. E’ artista fuoriclasse, probabilmente la migliore apparsa finora nella stagione lirica 2022-2023.

Samuel Youn, l’Olandese, ha voce potente, sicura nella tecnica e stentorea, ma tende a calcare il canto con eccessiva recitazione. Franz-Josef Selig è Daland discreto, mentre Toby Spence è Erik convincente. Puntuale e ben risolta la Mary di Annely Peebo, e bene anche Leonardo Cortellazzi come Timoniere.

Al Coro di casa, diretto da Alfonso Caiani, si aggiunge il Coro Taras Shevchenko della National Academic Opera and Ballet Theatre of Ukraine preparato da Bogdan Plish. Non sempre le due compagini si trovano in sincronia, ma nel complesso, soprattutto le sezioni femminili, la prova è buona.

Successo per tutti alla recita del 4 luglio, con ovazioni per Anja Kampe e Markus Stenz.

Luca Benvenuti